Moritz Gamper: bozzetti d’immaginazione e oltre

Per quanto Moritz Gamper sia giovane e al suo debutto a proprio nome, l’autore bazzica il mondo musicale da parecchio tempo ed ha maturato una certa esperienza con la rock band Desert May Bloom (bellissimo nome per altro). Meranese di nascita, ma da tempo residente a Vienna, Mortiz ha deciso di mettersi in proprio, un po’ per via delle difficoltà nel tenere in attività una band di questi tempi, un po’ per l’impellenza di percorrere nuove vie e mettere su un supporto le sue nuove canzoni.

“Da un lato – ci racconta – in cinque è difficile mantenersi suonando se si vuol vivere di musica, che è quello che volevo fare io, dall’altro volevo provare a mettermi in gioco come solista. Io non riesco a fermarmi, ho bisogno di creare musica in continuazione, non con un computer, ma con uno strumento tra le mani. Sono molto determinato in questo, mi ero messo in testa di fare un disco, questo disco, e per due settimane non ho fatto altro che scrivere canzoni: l’obiettivo era scriverne una al giorno, fatta e finita, senza lasciare nulla di incompleto da terminare il giorno successivo”. 

Sketches Of Imagination And Beyond, questo il titolo del vinile (il disco è uscito solo in questo formato), è indubbiamente una delle produzioni più interessanti realizzate da un musicista della nostra regione negli ultimi anni, da tenere a portata di mano sullo scaffale col CD dei Morisco e col vinile di Peter Burchia uscito un paio di anni fa. Tutto sorretto su chitarra e voce, viene indicato genericamente come disco blues, ma in realtà va oltre le definizioni, Gamper racconta storie più o meno brevi – degli sketch dell’immaginazione come recita il titolo –, sfoggia un buon fingerpicking e si cimenta anche con la slide, ma il suo è una sorta di folk contemporaneo o moderno che dir si voglia che emana bellezza, suona con freschezza, c’è l’influenza blues ma non suona mai datata.

“Si tratta di un lavoro fatto tutto da me – prosegue Mortiz – mi sono registrato, mixato, ho fatto anche il master da solo e ad essere sincero devo ammettere che il mix e il master sono stati pesanti da fare. Si tratta di una cosa che non avevo mai fatto e non so se in futuro la rifarei, perché nel momento in cui sei tu a fare tutto, ad un certo punto non senti più gli errori, perché nella tua testa la musica suona in un certo modo, come l’hai pensata e non più come l’hai suonata. Dopo aver deciso che il lavoro andava bene così, non l’ho più riascoltato per un mese perché avevo bisogno di lasciarlo decantare. In realtà una canzone non è mai finita, è solo la fotografia di un momento.”

Il disco, pubblicato dalla Blind Rope Records, che ne ha già chiesto a Gamper un nuovo per l’anno prossimo, è molto curato nella veste grafica con un dipinto di sua moglie Maria Ibba che si rifà alla canzone d’apertura, The Bandit; la tiratura, invece, è di 333 copie numerate a mano.

“È stata un’idea della casa discografica – ci spiega Gamper – siccome il blues è la musica del diavolo e 666 è il numero del diavolo, hanno diviso a metà facendo un po’ più delle copie che si stampano di solito, che sono 250. Trovare qualcuno che si interessi e sia disposto ad investire in progetti del genere è abbastanza difficile. Io sono stato fortunato perché i miei amici bluesmen austriaci mi hanno indirizzato a Dietmar Hoscher, che è il proprietario dell’etichetta ed è un’autorità in materia, lo definiscono il Papa del Blues autriaco. Quando l’ho contattato, lui sapeva già chi ero perché almeno un paio di chitarristi austriaci lo avevano incuriosito parlandogli di me.”

Dopo il primo incontro è stato chiaro sia per Moritz che per il Papa del Blues che c’era del materiale su cui lavorare e c’era anche il feeling per farlo bene insieme. Nel frattempo, Moritz Gamper, la sua chitarra e la sua musica saranno protagonisti di una serata al Sudwerk il 7 novembre e di una all’Est/Ovest di Merano il 9.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Il primi cinquant’anni del CLS


Scendendo da ponte Druso per la via omonima, girando a sinistra per via Roma, si nota, al n. 9, la targa, all’ingresso di un passaggio, con la scritta “C.L.S. agenzia di educazione permanente”. Si accede infatti alla sede, dal 1991, del Consorzio Lavoratori Studenti. L’agenzia divenuta punto di riferimento per l’educazione permanente ha celebrato il 14 ottobre i 50 anni di attività: corsi (recupero scuola media superiore, universitari, informatica, arte, lingue, Fondo Sociale Europeo, formazione immigrati…), laboratori creativi, conferenze, recupero anni scolastici e assistenza allo studio. Vengono proposti corsi di storia dell’arte, laboratori artistici e di piccolo artigianato. Non mancano i corsi di cucina, di degustazione, così come i corsi di crescita e sviluppo personale. Fin dalla sua nascita ha difeso il diritto allo studio, alla formazione, all’integrazione.  Ciò con il percorso di preparazione agli esami di idoneità  e all’esame di Stato di Scuola Secondaria Superiore tramite un sostegno individuale o in piccoli gruppi. Al centro del suo “lavoro”  il C.L.S ha messo l’attenzione, l’accompagnamento e l’accoglienza di ogni singolo partecipante. Come continuare a fare della cultura e dell’apprendimento il fine della propria attività? Se ne è parlato il 14 ottobre all’Eurac Researc, in via Druso, per ricordare appunto i 50 anni trascorsi  e presentare le nuove sfide che aspettano il C.L.S. nei prossimi anni. A fare gli onori  di casa è stato il trio dirigenziale, Patrizia Zangirolami, Matteo Grillo, Bianca Monti, mentre, al pubblico dell’auditorium (docenti e discenti, con amici e parenti) hanno dato il loro contributo esperti nel campo dell’educazione e della formazione continua. La manifestazione si è conclusa con un momento conviviale.

Autore: Leone Sticcotti

Giornate europee dei Cortinari 2024

Nel comune svizzero di Quarten, nel Canton San Gallo, distretto di Sarganserland, sul lago di Walenstadt, e presso il nuovo centro di Schönstatt s’è tenuto il 40° congresso europeo dei Cortinari, organizzato dall’associazione micologica JEC. Dopo la prima trasferta parmense dello scorso anno, raggiungere Quarten da Merano è stata un’esperienza decisamente importante; – in primis – perché vissuta al di fuori di una sorta di zona di confort; e, in secondo luogo a causa del fatto che sono stato ufficialmente incaricato di realizzare fotografie e video delle attività sociali, godendo di ampia autonomia, intento a catturare sfumature, particolari e dettagli in una zona ancora sconosciuta agli occhi. Non mi sono dunque limitato a ritrarre i carpofori in habitat (a mano libera s’intende, perché predisporre un set, nel bosco, necessiterebbe di troppo tempo), ma di descrivere e regalare, sia ai soci presenti, sia a quelli che non hanno potuto aderire quest’anno, testimonianze e ricordi della settimana elvetica. Anche al Nord delle Alpi sono state giornate meteorologicamente frizzanti, condite da tanta pioggia, vento e poco sole. Mercoledì 9, dai resti dell’uragano Kirk, abbiamo provato sulla nostra pelle gli effetti del favonio da Sud con raffiche davvero costanti e imponenti fino a notte fonda. Il vociare dei rami flessi dal vento sormontava i nostri richiami! Purtroppo la speranza di immortalare l’aurora boreale e la SAR del 10/11 ottobre è svanita a causa della copertura nuvolosa e della pioggia incessante; mentre in Italia le condizioni erano ottimali. Il nuovo centro di Schönstatt aveva tutto l’occorrente a portata di mano, quindi ogni attività, dal pernottamento, alle determinazioni, alle riunioni, al rifocillamento la si è potuta svolgere comodamente in sede, eccetto, naturalmente le gite. Ogni mattina, infatti, dalle ore 9, tre gruppi di diversi colori (escursioni rossa, verde e blu) partivano verso i boschi prescelti per raccogliere miceti. Il Direttivo ha vagliato luoghi dalle molteplici quote (da 450m in su), variegate varietà arboree e tipi di suolo (acido/calcareo); nello specifico Arvenbühl, Amden, Elm, Obersee, Klöntal, Mollis, Chapfensee e Wichlen. Da Wichlen, e dai boschi di conifere a 1600m di quota, abbiamo ammirato tutta la Valle del Sernf, circondata ambo i lati da incantevoli vette alpine quali Kärpf 2794m, Hausstock 3158m, Blistock 2448m, Vorab 3028m, Laaxer Stöckli 2898m, Piz Segnas 3099m, Piz Sardona 3056m. Evidenti le differenze di vegetazione rispetto all’Alto Adige, come boschi misti fino a 1500 metri di quota (perlomeno nelle zone visitate), con faggi e aceri a spadroneggiare, e già con un foliage avanzato. Ho riscontrato un grado maggiore di civiltà, di pulizia e rispetto assoluto nei confronti della Natura, rispetto ai nostri boschi. Il ritorno a casa percorso mediante strade di montagna ha confermato ancor di più questa considerazione, specie al momento di attraversare il Passo Flüela, 2383m, un valico montano di rara bellezza che collega Davos a Susch e poi, ancora, da Zernez, tramite il passo del Forno, 2149m, a Müstair e a Tubre, fino al suolo italico. La Svizzera orientale è una zona poco abitata, un luogo aspro e selvaggio e di una magnificenza naturale incredibile.

Autore: Donatello Vallotta

Oltre il pubblico elegante: la classe operaia e l’immigrazione

Se il turismo aveva significato la “mobilità” delle classi elitarie ed agiate, in viaggio per le cure o per diporto, e se spontaneamente si rimane affascinati dalle mille storie di eleganti dame in cappello, guanti ed ombrellino, non si può però dimenticare che la città aveva anche un’altra anima, quella più facilmente pronta a scivolare nell’oblio della coscienza e della memoria: gli immigrati e la classe operaia.

La mobilità che da sempre aveva portato uomini e donne ad attraversare le nostre contrade, fu riattivata durante gli sconvolgimenti politici dell’età napoleonica, a cavallo fra XVIII e XIX secolo. 

Non solo, nel periodo dell’occupazione bavarese, nel primo decennio dell’Ottocento, anche i confini di stato e quelli delle diocesi subirono continui mutamenti. In questo turbinio di avvenimenti, mentre il Tirolo veniva smembrato e il confine tra Regno di Baviera e Regno d’Italia correva tra Gargazzone e Nalles, Merano divenne un fiorente centro commerciale e di contrabbando attraverso la val di Non. Per un breve periodo, dunque, fino alle nuove risoluzioni del Congresso di Vienna (1815), Merano fu la meta di un consistente numero di immigrati trentini, ma il nuovo declino che aveva reinghiottito la città determinò una battuta d’arresto nella mobilità. 

Dettata dal terrore del colera che nel 1836 dilagava da sud, ci fu una nuova e massiccia immigrazione dalle valli trentine.

Nel XIX secolo i lunghi periodi di guerra, le carestie, le epidemie abbattutesi con diversa intensità sugli stati asburgici, indussero numerosi tirolesi e trentini ad unirsi al movimento migratorio diretto oltreoceano, oppure a cercare stagionalmente, fuori dei propri confini, una qualche forma di sostentamento. 

Muratori, braccianti agricoli e artigiani lasciavano le proprie case per recarsi in Svizzera, addirittura in Sassonia, in Turingia, in Vestfalia Altri ancora si mettevano in cammino per piazzare la propria merce, generalmente minutaglia, da vendere di villaggio in villaggio.

L’attività del venditore ambulante era particolarmente esercitata dagli abitanti delle valli Gardena e Stubai, che giravano l’Europa vendendo oggetti anche di loro stessa produzione come tappeti, guanti, cappelli, sculture lignee, utensili e casalinghi. Simile destino era riservato ai braccianti delle valli trentine: i paroloti si mettevano in cammino per vendere e riparare paioli, i moleta per arrotare coltelli e lame, mentre i venditori di stampe del Tesino, ad esempio, facevano sognare ed arricchivano l’immaginario delle genti che incontravano. 

Le povere condizioni di vita in molte valli determinarono il particolare destino di una parte della popolazione venostana o meglio di uno specifico gruppo marginale di quella zona e dell’Alta Valle dell’Inn, che potremo indicare come girovaghi costretti dalla povertà a questo stile di vita: il fenomeno dei Karrner o Karrenzieher, trascinatori di carri. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

Studenti e politica

Personalmente sono rimasto molto colpito quando lunedì scorso, con un comunicato stampa bilingue, la sede bolzanina degli studenti universitari sudtirolesi/altoatesini ha chiesto a unibz “maggiore apertura riguardo agli eventi politici” all’interno dell’ateneo. “Finora, l’Università ha adottato la linea di non permettere iniziative come dibattiti pubblici su temi controversi, come le Olimpiadi 2026 o altri argomenti simili. Per noi è incomprensibile, poiché nelle sedi universitarie delle nostre delegazioni esterne sentiamo regolarmente parlare di eventi socio-politici, veniamo invitati a partecipare – ad esempio da organizzazioni partner come l’Österreichische HochschülerInnenschaft – e soprattutto organizziamo noi stessi tali eventi”, ha sottolineato Alexander von Walther, presidente della sh.asus. “Comprendiamo ovviamente che l’Università, come istituzione pubblica, non possa ospitare eventi di partiti politici o organizzazioni tendenziose. Anche noi come associazione non lo vogliamo”, ha aggiunto la sh.asus nel suo comunicato. Mentre la giovane vicepresidente della sh.asus Magdalena Scherer dal canto suo ha ricordato che “a Innsbruck, lo scorso anno, la sede esterna dell’associazione studentesca ha organizzato un dibattito pubblico sulle elezioni provinciali che ha ricevuto riscontri molto positivi, con l’aula più grande dell’Università strapiena, oltre 400 studentesse e studenti interessati tra il pubblico e più di 100 collegati in streaming”. “A Bolzano, una cosa del genere non sarebbe stata possibile”, ha aggiunto.
L’associazione degli studenti universitari ha ricordato che per i loro colleghi austriaci si tratta di prassi consolidate e che l’organizzazione di tali eventi è addirittura considerata “un obbligo”.
“Anche noi vediamo come nostro compito promuovere l’educazione politica tra i giovani – concretamente tra le studentesse e gli studenti nelle nostre delegazioni esterne – e per questo riceviamo, tra le altre cose, contributi provinciali”, hanno concluso presidente e vicepresidente di sh.asus che, lo ricordiamo, non sono estremisti e agitatori politici.
In provincia di Bolzano abbiamo un grande bisogno di giovani consapevoli e attivi per quanto riguarda tutto quello che riguarda la gestione cosa pubblica, anche nell’ottica di avere in futuro una classe politica migliore di quella attuale. Spero dunque che tali divieti vengano meno al più presto possibile, nell’interesse di tutta la nostra comunità locale.

Autore: Luca Sticcotti

Luca Sticcotti: creatività a tutto tondo

Se la scrittura lo vede protagonista come pubblicista e giornalista sin dagli anni Novanta – e la musica lo ha impegnato fin dai suoi studi universitari e al conservatorio, cui è seguito un lungo periodo di sperimentazione musicale e il 2004 lo ha visto affermarsi come compositore in ambito classico proponendo “Febbraio”, un suo brano per orchestra d’archi – ora è l’arte a dare una ulteriore prova dei tanti talenti di Luca Sticcotti. Nel 2015 ha infatti iniziato con successo a dedicarsi alla pittura all’acquerello, ispirandosi alle tecniche pittoriche di una serie di artisti giapponesi e scandinavi. La qualità dei suoi acquerelli ha riscosso fin da subito il favore di chi aveva avuto modo di vederli spingendolo ad esporre queste sue opere e farle conoscere ad un più ampio pubblico. Così nel 2017 sono iniziate anche le esposizioni con “Nebbie e d’intorni” seguita da “Instant of light”, nel 2019. Ora è la volta di “Intimate Landscapes” dal 18 al 30 ottobre, alla Piccola Galleria di Via Streiter a Bolzano. Eterei eppure dirompenti gli acquerelli di Luca Sticcotti hanno la capacità di evocare sensazioni, emozioni, sentimenti. Poche pennellate essenziali danno vita ad un paesaggio solitario, magari avvolto dalla nebbia oppure colto all’alba piuttosto che al tramonto, un orizzonte in lontananza, un gruppo di alberi prima di una radura, una marina dopo una tempesta, nuvole in un cielo plumbeo squarciato all’improvviso da una luce, primavera oppure inverno, neve o sabbia non sono semplicemente paesaggi ma veri e propri flash back dei nostri vissuti. In queste opere sembrano sprigionarsi armonie quasi che i colori fossero toni, note, di uno spartito interiore. Nei paesaggi in mostra il fruitore potrà perdersi fino a ritrovare sé stesso e quel clima intimo che governa le nostre giornate felici e quelle tristi. “Intimate landscapes” è dunque la chiave di lettura di questi acquerelli dal fascino nordico e dalla linearità giapponese.  

Autrice: Rosanna Pruccoli

Brennero. Buoni spunti e svarioni. Nevrosi da confine

Messaggio importante per i non altoatesini: in Alto Adige non è obbligatorio parlare in italiano nei locali della Procura o di altri uffici e non è vietato usare la propria lingua in presenza di pubblici ufficiali (semmai è vero il contrario). E non c’è niente di più pubblico e di più ufficiale della doppia lingua.

Non essendo frequentatore assiduo di serie televisive evito di avventurarmi in una critica strutturata degli otto episodi di “Brennero” trasmessi sui canali RAI tra settembre e ottobre 2024. Mi occupo però di storia e di storie e, come spettatore, trovo qui qualche buono spunto di riflessione. Da altoatesino “in missione” a Roma sono inoltre chiamato spesso a rettificare informazioni non corrette.

Come altri conterranei mi sono divertito a cogliere in fallo i sceneggiatori rispetto alla verosimiglianza delle situazioni narrate e a indovinare man mano quali fossero i luoghi proposti nelle immagini. Va detto a questo proposito che gli autori hanno rinunciato a proporre un Alto Adige da cartolina (bravi!), fatti salvi gli immancabili scorci di castelli e campanili. Per una volta non vediamo il Sudtirolo dai colori forti e dai fiori ai balconi, quelli degli intrecci tra la storia – quella grande e quella piccina – e le relazioni umane. Le tinte smorte che caratterizzano tutta la serie descrivono bene quel quid di insano, di malato, che si respira in una terra affetta da quella nevrosi da confine, che ogni tanto si materializza nel “mostro”, come avvenuto a Merano nel 1996.

“Brennero è la storia di due solitudini che si incontrano” (Giuseppe Bonito).

Il racconto è avvincente, gli sviluppi a volte scontati, altre no. Si usa del contesto storico e geografico senza farne la caricatura. Alcune forzature e ingenuità le coglie solo il residente. Come il fatto che la procuratrice Kofler parla sempre in italiano col marito, il prefetto Müller, entrambi di lingua tedesca (al di là del fatto che a Bolzano il Prefetto si chiama Commissario del Governo e difficilmente porterà il nome Müller, come del resto il Presidente della Provincia sarà di rado un Rossi – tutt’al più un Magnago – ma questa è anche una bella domanda da farsi).

Diamo pure a tutto la sufficienza (in particolare per il fatto che alla fine non si capisce bene, come è giusto che sia, che cosa è il Sudtirolo) tranne però a queste due scene, che rafforzano un pregiudizio e confondono le norme con la loro attuazione. Prima scena: la procuratrice Kofler all’ispettrice Pichler negli uffici della Procura: “Scusi può passare all’italiano per favore? È una regola che vale per tutti”. Seconda scena: l’ispettore Costa a casa del signor Berger: “La invito comunque a rivolgersi a due pubblici ufficiali in lingua italiana”.

Qui il voto è insufficiente. Perché? Come in ogni buon giallo, non diamo la soluzione ma solo qualche indizio. La risposta si trova agli articoli 99 e 100 dello Statuto di autonomia del Trentino Alto Adige (che è Legge costituzionale e si trova facilmente in rete).

Autore: Paolo Bill Valente

La piazzetta di Bolzano dedicata a Darwin

Una delle due piazzette dalle quali si può accedere alla Libera Università di Bolzano è dedicata al naturalista inglese Charles Robert Darwin. 
Nato il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury (Regno Unito), frequentando le scuole primarie fu affascinato da un libro del naturalista Gilbert White (1720-1793); iniziò a collezionare insetti, rocce e minerali, ad osservare gli uccelli. Ammesso nel 1818 alla rinomata Shrensbury School, nel tempo libero collezionò uova di uccelli e fece esperimenti chimici. Dal 1825 al 1827 frequentò la Facoltà di Medicina dell’Università di Edimburgo; fu anche in mare con i pescatori di ostriche e compì ricerche negli stagni locali. Presentò la prima relazione scientifica alla Plinian Society. Al Christ’s College dell’Università di Cambridge fu indirizzato da personalità scientifiche verso la storia naturale. L’occasione della vita fu la spedizione intorno al mondo con il brigantino HMS Beagle; viaggiò nel tempo, per cinque anni, nello spazio, Isole Capo Verde, Falkland, Galapagos, Coste del Sudamerica, Australia. Delle numerose osservazioni su flora e fauna, sulle formazioni geologiche, fece relazione ufficiale, pubblicata con il titolo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”. La teoria di Darwin, avvalorata da osservazioni compiute nei campi dell’anatomia comparata, dell’embriologia e della paleontologia, è universalmente accettata nell’ambito biologico. Nel 1859 pubblicò il capolavoro “L’origine delle specie attraverso la selezione naturale”, che trovò vasta accoglienza tra gli scienziati. Furono otto le edizioni mentre Darwin era vivo; in italiano fu tradotto nel 1864. Darwin pubblicò altri trattati scientifici, sviluppando altri temi. L’opera di Darwin fu molto apprezzata dalla comunità scientifica. Non mancarono i pubblici riconoscimenti. Sposatosi nel 1839 con Emma Wedgwood, la coppia ebbe dieci figli; trasferiti da Londra a Downe, nel Kent, Charles Darwin vi morì il 19 aprile 1882. Ebbe funerali di Stato, con sepoltura nell’Abbazia di Westminster.

Autore: Leone Sticcotti

Jemm: dove il ritmo pulsa e crea

Questo 2024 che va concludendosi è senz’altro stato un anno molto importante per il sestetto bolzanino Jemm, fondato da Max Castlunger e Marco Stagni e di cui ora fanno parte anche Matteo Cuzzolin, Hannes Mock, Mirko Pedrotti e il nuovo arrivato Andrea Polato. I Jemm sono – a ragione e insieme al quartetto di Herbert Pixner – una delle formazioni strumentali più blasonate della nostra terra.

Pulse è uscito in questi giorni per la neonata etichetta 12Ville, che fa capo a Wilfried Gufler, ed è stato registrato come i precedenti presso il Cat Sound Studio di Badia Polesine. L’album mette sul piatto sette brani nuovi di zecca. “Il Cat Sound – ci racconta Castlunger – è ideale per il budget che abbiamo e per quello di cui abbiamo bisogno: siamo una formazione che suona dal vivo, sempre, e quindi ci serve un posto dove tutti possiamo avere una cabina in cui suonare, contemporaneamente agli altri, e non sono molte le sale attrezzate per questo. Le composizioni incluse nel disco sono firmate prevalentemente da me, ma ci sono anche contributi di Matteo Cuzzolin e del vibrafonista Mirko Pedrotti. Inoltre, per quanto mi riguarda, oltre agli strumenti a percussione che suono di solito, qui uso anche un cordofono asiatico molto curioso; ha le corde che si percuotono schiacciando dei bottoni che sembrano i tasti di una macchina da scrivere, e ci posso poi attaccare effetti come delay e wahwah, però non posso fare accordi!”.

Il disco oltre che sul groove tipico dei Jemm, conta molto anche sulla varietà musicale a livello stilistico, si sente infatti la presenza dei tre autori diversi. Il brano Cassiopea, composto da Cuzzolin, oltre ad essere caratterizzato dal suo inconfondibile stile col sax, ricorda in qualche modo le composizioni delle colonne sonore dei film di James Bond. Nell’album c’è per la prima volta anche un brano di Mirko Pedrotti, che s’intitola Takatakatum ed è giocato su una serie di incastri musicali.

“L’artwork del disco – prosegue Castlunger – è della nostra amica Elisa Grezzani che ha anche creato i disegni delle nostre camicie: ci è sempre piaciuto vestire in modo colorato, perché il colore è una delle caratteristiche di quanto suoniamo, però stavolta volevamo qualcosa di diverso rispetto ai classici temi floreali hawaiani o indonesiani. Ed Elisa è davvero riuscita a fare un lavoro originale.”

Si diceva in apertura di come questo sia stato un anno intenso per i Jemm: la scorsa primavera, i sei musicisti sono stati invitati ad un prestigioso festival in Marocco. Tutto è nato dalla loro partecipazione ad un’analoga manifestazione a Bruxelles, due anni fa. I due eventi hanno lo stesso direttore artistico che, dopo aver visto in azione il sestetto, ha ben pensato di inserirne il nome tra le sei band europee invitate a Rabat per suonare in una specie di fortezza dell’epoca romana, nel corso di un jazz festival che va in scena da trent’anni.

“È stata un’esperienza fantastica – commenta il percussionista – siamo stati accolti come star, tutto era pagato, prelevati in aeroporto con un pulmino, portati in albergo. Una cosa mai vista. Secondo il programma le band europee ospiti suonano anche in jam session con formazioni marocchine di musica gnawa, un genere a base di basso, voce e una specie di nacchere. Loro hanno eseguito le musiche della loro tradizione e noi ci siamo inseriti con la nostra strumentazione. Il bello è che non è una cosa per stranieri e turisti, il pubblico è soprattutto locale. Per di più, dopo il concerto c’è stata una session in albergo ed io sono arrivato dopo gli altri. Tutto l’entourage era già lì e anche qualche appassionato: nel momento in cui sono entrato qualcuno mi ha riconosciuto e ha richiamato l’attenzione degli altri indicandomi, la musica si è fermata, il pubblico è scattato in piedi applaudendomi, ed io lì ammutolito a bocca aperta!”

Per il pubblico altoatesino invece, i Jemm presenteranno in esclusiva il loro disco sabato 19 ottobre all’UFO di Brunico e il sabato successivo, 26 ottobre, a Collepietra nell’ambito della rassegna Steinegg Live.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Dopo la stazione ferroviaria arrivano le nuove strutture alberghiere

Dopo l’apertura della linea ferroviaria del Brennero e i due soggiorni dell’imperatrice Elisabetta d’Austria dall’ottobre del 1870 alla fine di maggio dell’anno seguente e dalla metà di ottobre del 1871 fino a tutto dicembre dello stesso anno, la clientela più elegante e snob individuò in Merano uno dei luoghi per le proprie vacanze di cura proprio come era successo a Bad Ischl, a Bad Kissingen, a Madera o a Corfù, in ogni luogo insomma dove Sua Maestà era stata vista. Pressante diventò quindi la necessità di costruire alberghi di lusso provvisti di ogni genere di comfort.

L’afflusso turistico crescente necessitava anche di una adeguata rete di alberghi, pensioni e camere in affitto. Queste ultime furono in breve tempo messe a disposizione dai privati offrendo le prime possibilità di pernottamento e soggiorno sotto i Portici, nel quartiere di Steinach e in via delle Corse, nonché nei piccoli villaggi limitrofi di Maia Alta e Maia Bassa. 

In piazza della Rena esisteva la locanda Zur Goldener Rose, provvista di 13 stanze e considerata il migliore alloggio in città. Nella seconda metà dell’Ottocento fu ribattezzata Erzherzog Johann, in onore dell’arciduca Giovanni d’Austria. Tra il 1869 e il 1870, quando fu abbattuto un tratto delle mura cittadine, l’albergo fu ampliato al punto da disporre di ben cento camere, per giungere a centotrenta solo tre anni dopo. In questo ulteriore ampliamento, al primo piano, si era previsto lo spazio per una sala di lettura e una sala da gioco e da conversazione. L’albergo disponeva anche di un ristorante-giardino, allestito nel 1877, che era stato impreziosito da un gran numero di piante esotiche, e che sovente ospitava i concerti dell’Azienda di cura. Un ulteriore intervento di ampliamento, questa volta in altezza con l’aggiunta del quinto e del sesto piano, affidato allo studio di architettura Musch e Lun nel 1898, aveva condotto ad una capienza di centocinquanta camere. In questa occasione la facciata fu abbellita con eleganti frontoni neobarocchi. 

Apparteneva invece ad Hans Fuchs l’Habsburgerhof, l’attuale Hotel Bellevue, inaugurato nel 1883. Affacciato sulla piazza ellissoidale della stazione ferroviaria di Merano, l’attuale piazza Mazzini. Si dipanava su tre piani e aveva una capienza di sessanta camere e di altre ventiquattro nella dependance sul retro. Anche in questo caso l’ideazione e la costruzione era stata affidata allo studio Musch e Lun che era riuscito a dotare l’albergo di tutti i comfort. Sempre affacciato sulla Habsburgerstrasse, la via principale che univa il centro storico alla stazione ferroviaria, era il Tirolerhof. Un edificio a cinque piani, con cinquanta camere, di proprietà del signor Auffinger. Il sistema di balconi a logge rivolti verso sud consentivano l’esposizione all’aria aperta al riparo però dai venti venostani, particolare non trascurabile per tutta la schiera di turisti di cura sofferenti di affezioni polmonari che tanto numerosi affollavano Merano.

Faceva angolo con la Habsburgerstrasse e la via delle Corse l’Hotel Europa, in posizione assai favorevole per la clientela poiché a metà strada tra la stazione ferroviaria e la zona del passeggio, delle cure e dello svago. Costruito nei primi anni Novanta, apparteneva ad Anton Ladurner. Più vicino alla stazione sorgeva il Kaiserhof di proprietà di A. Ellmenreich. Prestigioso edificio, era ripartito in corpo centrale e due lunghe ali affacciate rispettivamente sulla Habsburgerstrasse e sul piazzale della stazione ferroviaria.

Non lontano dalla stazione ma già sulla Stefanie Promenade, a partire dal 1890, sorgeva Pension Euchta, una costruzione a tre piani e una disponibilità di ventotto camere. Sarà notevolmente ampliata nel 1905 e prenderà il nome di Savoy Hotel. 

Autrice: Rosanna Pruccoli