Prisca, la “mamma” del mercatino

La settimana scorsa si è registrato in incredibile boom di iscritti alle vendite e di compratori da ogni angolo della regione, per l’edizione invernale dell’ormai famoso e attesissimo “Mercatino delle Mamme” di Laives, un evento nato solo due anni fa dalla fantasia di Prisca Schievenin, che ci parla della genesi di questa fortunata iniziativa.

È un mercatino dell’usato dedicato agli articoli per bambini e ragazzi, ma è ormai conosciuto ovunque come il “Mercatino delle Mamme”. Già, perché quello che ormai va in scena regolarmente due volte l’anno negli spazi del Centro Don Bosco di Laives è un mercatino che soprattutto nasce dall’idea di una mamma. 
Ed è proprio a lei, Prisca Schievenin, che abbiamo voluto fare qualche domanda per saperne di più di quello che è ormai a tutti gli effetti uno degli appuntamenti più attesi dalle famiglie nel calendario laivesotto.

Prisca, innanzitutto: come è andata l’ultima edizione, che si è svolta nel week end del 12 e 13 ottobre appena trascorsi, dedicata in particolare agli articoli per l’inverno?

È stato un successone, con ben 180 iscritti alle vendite e addirittura una lista d’attesa per ottenere uno spazio. E, al sabato, perfino alla cassa si è formata una fila costante. Il fatto che più ci ha stupiti e soddisfatti, però, è stata la provenienza dei compratori: sono arrivati acquirenti da Renon, Val d’Ega, Merano, e addirittura da Vipiteno e Trento.

Si tratta di un successo che, a distanza di due anni dalla prima edizione targata ottobre 2022, forse nemmeno lei e gli altri collaboratori si aspettavano. Ma da dove è partita l’idea di questo fortunato mercatino? 

A dire il vero io frequentavo da anni altri mercatini, come quello di Ora, per esempio. E a un certo punto ho pensato: ma perché non provarci a Laives? Così un giorno ne ho parlato con Giancarlo Schiavon, l’attuale presidente del Don Bosco, allora membro del direttivo, e lui ha da subito appoggiato l’idea. Così, grazie al patrocinio del Centro Don Bosco, abbiamo anche da subito ottenuto degli spazi adeguati al progetto. All’inizio le idee non erano molto chiare e infatti la prima edizione – che aveva comunque registrato un successo con 150 venditori – è stata una faticaccia, perché il mercatino durò tre giorni in cui i volontari, pochi, erano sempre gli stessi, senza possibilità di darsi il cambio. Inoltre avevo grandi idee, come la proposta di lasciare l’invenduto per fare beneficenza, ma senza tenere conto degli spazi che richiedeva stivare tutta quella merce ingombrante fino allo smaltimento. Ma l’esperienza è servita a capire dove migliorare, e infatti già dall’edizione successiva il cammino è stato in discesa.

Oggi c’è una folta schiera di collaboratori che permettono che tutto fili liscio: dal gruppo di uomini che si occupa di montare e smontare tavoli e stand, fino al banco del mercato di Bolzano che ad ogni edizione fornisce i supporti necessari a esporre la merce. E’ un team affiatato, che consente a Prisca e tutto il gruppo di valutare importanti progetti per il futuro.

Ogni volta cerchiamo di trovare spunti e migliorare. La nostra speranza è quella di poter rimanere a Laives, e nello specifico al Don Bosco, dove ci sentiamo a casa. Qui conosciamo gli spazi, le persone, e questo ci consente di fare progetti di miglioramento.

Quali sono questi progetti per l’edizione primavera – estate prevista per il week end del 29 e 30 marzo del prossimo anno?

In effetti sto cercando di mettere in piedi uno spazio sorvegliato da persone qualificate per poter lasciare i bambini a giocare e permettere ai genitori di fare shopping in tranquillità o di fare la fila alla cassa senza lo stress di bimbi annoiati dall’attesa. Questa idea spero di poterla concretizzare per la prossima edizione. E poi ci sono altre idee che ronzano in testa, come un mercatino dell’usato dedicato agli adulti, oppure solo ai costumi di carnevale. Insomma, carne al fuoco ce n’è, e l’interesse e la partecipazione delle persone ci stimola a portare avanti questi progetti.

Autrice: Raffaella Trimarchi

Quando dall’albergo si votò il “ribaltone”

Il comune di Laives nacque ufficialmente nel 1819 grazie al nuovo ordinamento asburgico dei comuni. Da sempre collegato al capoluogo, il piccolo paese decise di staccarsi (anche se non… troppo) da Bolzano nel corso di una riunione tenuta all’albergo Casagrande.

Nel 1823 il preposto Johann von Reich pubblicò un rapporto sullo stato della popolazione, che consisteva complessivamente in 736 persone, di cui 569 residenti e 167 non residenti (soprattutto braccianti agricoli, domestiche e apprendisti artigiani). 128 persone abitavano a Unterau / S. Giacomo, 151 a Seit, 96 a Montelargo e 361 a Laives paese. Di questi, solo 53 erano possidenti e perciò ammessi al voto. Insomma, un mondo decisamente diverso da quello attuale.

I primi sindaci vennero dalla potente famiglia Kurzel. Il capostipite Lorenzo fu capocomune dal 1836 al 1846, suo figlio Anton dal 1870 al 1875, il nipote Caesar dal 1879 al 1907. Al termine della battaglia elettorale del 1907, prevalse un nome nuovo, Josef Ebner, che rimase in carica fino al 1926, quando fu sostituito da Alfred(o) Gerber.

Nel dopoguerra, le prime elezioni democratiche si tennero nel 1952. Fu eletto nuovamente Alfred Gerber, sostituito nel 1956 dal democristiano Ennio Janeselli. Nel frattempo la popolazione di Laives era passata dai  3200 abitanti del 1921 a 8400, di cui 6500 del gruppo linguistico italiano. 

Il “ribaltone” che scosse il mondo politico sudtirolese avvenne nel 1960, quando un giovane politico rampante della Svp di nome Eduard Weis riuscì del tutto inaspettatamente a impadronirsi delle redini del comune grazie a un accordo con una lista civica e i socialisti. Fu il primo e per molti anni unico sindaco “tedesco” in un comune italiano. Il consiglio comunale era composto da 20 consiglieri, la maggioranza risicatissima poteva contare solo su 11 voti. 

Rimasero all’opposizione la DC, il PSDI, il MSI e il PCI. 

Chi erano quei 20 eletti? Per la DC, maggior partito italiano, Ennio Janeselli (sindaco uscente), Luigi Ornaghi (mitico maestro), Carlo Gioia, Orlando Pristerà (entrambi sindaci in anni successivi), Giovanni Tonazzoli, Armando Polonioli (anche lui sindaco). 

Il PCI mandò in consiglio il medico Tito Vezio Grazi, la lista civica Albino Loner e Mario Tabarelli. 

Il PSDI Armando di Anselmo, il PSI Renato Corrarati, Ottorino Muzzana e Giuseppe Corbella. Il MSI elesse Aurelio Poliandri, mentre i consiglieri SVP (che nel giro di 8 anni a causa della forte immigrazione italiana perse un terzo dei seggi) furono Adolf Hafner, Franz Warasin, Eduard Weis, Josef Clementi, Josef Pircher e Antonio (Toni) Espen. 

Dunque 14 italiani e 6 tedeschi. Il 2 luglio Eduard Weis fu eletto sindaco con 11 voti su 13 presenti. 7 consiglieri non si presentarono in aula. Loner, Corrarati, Corbella e Espen furono nominati assessori. Nel 1961 a Corrarati subentrò un altro nome notissimo a Laives, Pio Pegolotti. Nel 1962 entrò in consiglio un esponente storico del MSI, Gaetano Borin, padre di Bruno, a sua volta consigliere di lungo corso. Nel 1962, in seguito a dissidi con i socialisti, Weis si dimise per permettere un “ribaltone nel ribaltone”: uscirono dalla giunta i socialisti ed entrarono la DC con Gioia e Pristerà oltre a Di Anselmo e Primo Loner. 

Il caso Laives suscitò scalpore non solo in Alto Adige. I nazionalisti italiani allora guidati dal quotidiano Alto Adige gridarono allo scandalo a causa di quel giovane sindaco sudtirolese. Attaccò perfino il rappresentante del MSI che aveva votato a favore del bilancio scrivendo: “Quello che resta inspiegabile è invece il voto favorevole dato al bilancio ed alla Giunta dal consigliere del MSI…” 

La Giunta di Weis terminò la legislatura ma restò un fatto isolato (fino ai giorni nostri): nel 1964 i rapporti di forza rimasero più o meno gli stessi ma sindaco fu eletto l’emergente democristiano Armando Polonioli (a sua volta padre di un altro sindaco, Giovanni), allora primo cittadino più giovane d’Italia.

Autore: Reinhard Christanell

Fare quello che non c’è

Qui Intervista a Sergio Camin. Nato nel 1950 a Bolzano, vive e lavora a Ville di Fiemme, Varena (TN), e cerca da più di cinquant’anni di far convivere l’attività pittorica e grafica con la progettazione di luoghi narrativi e di interventi d’arte pubblica e di comunicazione sociale. Iscritto all’ordine dei giornalisti, ha collaborato con giornali e riviste, sua la rubrica “Visti dal Basso” sul quotidiano Alto Adige.

La cosa di me che mi piace di più.

Probabilmente, se me lo fossi chiesto qualche anno fa, avrei risposto la speranza. Adesso c’è molto meno, ma, mai aver paura delle contraddizioni. Mi è rimasta una cosa un po’ diversa che potremmo chiamare entusiasmo, nel senso che non spero, ma ci provo.

Il mio principale difetto.

Beh, sicuramente l’entusiasmo.

Il mio momento più felice.

Svegliarmi la mattina e ritrovare Claudia, un rapporto senza recite, senza finzioni e quella cosa straordinaria che è il sentirsi interi, completati.

Da bambino sognavo di diventare…

Io da bambino non ho mai sognato di diventare, da bambino ero di volta in volta indiano, cowboy, guerriero e non a caso si diceva “facciamo che io ero…”

La mia occupazione preferita.

Il mio lavoro, l’artista, e la cosa è un po’ complessa da far capire agli altri. La prima volta mi è successo a 26 anni, all’inaugurazione di una mia mostra a Mantova. La signora elegante aveva una faccia seria e mi chiese “Belli, ma di lavoro lei che cosa fa?”. Ecco: questo facevo e faccio.

Il luogo dove vorrei vivere.

Quello dove vivo, un paese piccolo con i boschi. Il turista vado a farlo in città.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

È successo raramente, ma ricordo l’ultima. Fila in autostrada, immobili, dietro di me una Ford grigia, 20 minuti, sempre immobili, tutti meno la Ford che mi tampona con forza. Sono uscito dalla macchina e mi sono limitato a chiedergli “Perché?”.

Tre aggettivi per definirmi.

Basso, vecchio e curioso.

Amo il mio lavoro perché…

È pensare e fare quello che non c’è, il comunque possibile o forse perché è soltanto un altro modo di raccontare.

L’ultima volta che ho pianto.

Ieri, pensando a un amico che non c’è più. Credo che piangere faccia bene, che ci aiuti quanto il ridere o l’urlare, per le emozioni non bastano solo le parole.

L’oggetto a cui sono più legato.

È un cavalletto, pesante, professionale, l’ho ancora in studio, un regalo di mio padre ai miei vent’anni. Non aveva molti soldi mio padre e sicuramente l’aveva pagato tanto, mi disse “Ricordati sempre chi vorresti essere.”

La mia maggiore paura.

Dimenticarmi le parole di mio padre.

Johanna: una donna impegnata a fianco delle donne e dei minori

Johanna Herbst è nativa di Nova Ponente, ha studiato Legge a Trento e Innsbruck e nel 2004 ha aperto il suo studio legale a Egna. Con tenacia ha cercato e trovato la sua strada ed è riuscita ad affermarsi. Si batte per i diritti delle donne e dei minori, svolge anche attività di volontariato riguardanti i diritti delle donne, come ad esempio la consulenza legale per l’Ufficio Donne. 

Quando nacque in lei l’aspirazione di diventare avvocata?

In realtà, fin dall’inizio avevo un chiaro desiderio di studiare legge e, come molti altri, durante il percorso di studi avevo desiderato di diventare giudice. Dopo la laurea, però si conosce per la prima volta la realtà, cioè si inizia in piccolo, ci si rende conto che bisogna aspettare che vengano banditi i concorsi, ma nel frattempo si vuole/deve fare esperienza pratica e guadagnare allo stesso tempo. Così ho iniziato con un tirocinio presso un legale, poi ho insegnato diritto nelle classi quarta e quinta della scuola professionale Kaiserhof di Merano. Poi ho ricoperto l’incarico di giudice onorario presso il Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, per poi rendermi conto col tempo che mi sentivo più a mio agio nella professione legale.  

Quale il caso che la scosse e la tenne in ansia?

I casi peggiori per me sono quelli che riguardano abusi e violenze. Di recente sono rimasta sconvolta dagli abusi sessuali su bambini minorenni da parte dei loro stessi zii e nonni, così come dagli abusi sui bambini da parte dei loro stessi genitori e parenti. In casi come questi, ci si interroga sulla specie umana.

Quando respirò per la prima volta il senso di aver contribuito a che giustizia fosse fatta?

È una domanda molto difficile e delicata, perché “avere ragione” e “ottenere la ragione” sono due aspetti diversi. Per esempio, posso avere ragione ma non ottenere giustizia perché non ci sono prove sufficienti. Il nostro sistema giuridico non ha nulla a che fare con la giustizia. Le leggi sono fatte dai politici. Esistono quindi principi, regole e norme giuridiche che devono essere attuate e applicate dal giudice secondo un ordine procedurale definito e nel modo già stabilito. In questo sistema, l’avvocato cerca di aiutare il cliente a realizzare le sue richieste scegliendo le opzioni migliori, spiegando il sistema e la legislazione e valutando i rischi e gli effetti collaterali. Ciò significa che, a prescindere dal fatto che si ritenga una cosa giusta o ingiusta, il senso di giustizia non gioca alcun ruolo nel procedimento. Così si impara rapidamente che l’atteggiamento idealistico nei confronti della giustizia con cui si è iniziato a studiare deve essere riconsiderato nella pratica.  Solo nel migliore dei casi si ha la sensazione di aver non solo vinto la causa, ma anche di aver assicurato la giustizia. 

Se non sbaglio lei ricopre un ruolo nel tribunale minorile… 

Un ruolo non è forse il termine giusto. Lavoro come curatrice speciale per i minori e sono iscritta in un apposito registro. Il curatore speciale può essere nominato dal Tribunale per i minori, ma anche dal Tribunale ordinario, quando il minore è in conflitto con i propri genitori o i suoi interessi non coincidono con quelli dei genitori. In altre parole, ogni volta che il minore ha bisogno di far sentire la propria voce e cioè di propria rappresentanza legale. Sono quindi, per così dire, l’avvocato del minore e rappresento solo il minore, indipendentemente da ciò che i genitori vogliono o non vogliono.

Come donna come si trova nel mondo dell’avvocatura altoatesina?

Nel frattempo, ho lavorato a lungo, sono stata accettata, integrata, e affermata. Con il passare degli anni, se non ti arrendi, trovi la tua strada e il tuo stile personale. Ma come donna, devi ancora superare più di un ostacolo, e aspettarti tempi di avviamento più lunghi. La parità di diritti non è ancora stata raggiunta.      

Come donna cosa vorrebbe fosse migliorato nel suo ambiente professionale?

Migliore compatibilità della professione con la vita familiare. Inoltre, le donne avvocato non possono sempre scegliere i settori in cui lavorare. In quanto donna, devi occuparti dei casi che ti vengono sottoposti o che ti vengono affidati e, a causa dei casi che devi trattare, cresci in una specializzazione. Ecco perché molte colleghe lavorano nel Diritto di famiglia, ad esempio, perché in quanto donna è più probabile che venga loro affidato questo settore. Se per esempio, come avvocato donna, volessi specializzarmi in Diritto societario, ma non riuscissi a trovare un impiego in uno studio legale e quindi diventassi una libera professionista senza però essere incaricata di trattare casi di questo tipo, non avrei scelta. Purtroppo in alcuni settori, i clienti credono ancora che un avvocato uomo possa gestire meglio il caso. Questi settori sono ancora dominati dagli uomini, cioè le grandi e importanti aziende sono ancora prevalentemente o esclusivamente gestite da maschi a livello decisionale, e per questo si rivolgono ad avvocati uomini. Secondo un recente studio commissionato dall’Ordine degli Avvocati di Bolzano, esistono ancora forti differenze di reddito. In media le donne avvocato guadagnano meno dei loro colleghi uomini. C’è ancora molto da fare.

Autrice: Rosanna Pruccoli

L’apnea è uno sport di sensazioni

Luca Messina – siciliano di nascita, milanese di formazione e trentino di domicilio – lavora a tempo pieno come architetto, marito e padre e ha una grande passione per l’apnea che lo porta a venire a Bolzano da Cavalese, per poterla seguire da agonista e futuro istruttore. 

Come hai scoperto l’apnea? 

Ho iniziato sin da piccolissimo. Abitando in Sicilia il mare era un elemento quotidiano. Mio padre era un pescatore subacqueo e, vedendolo, da bambino il mio istinto era quello di copiarlo e seguirlo. Poi ho iniziato a fare nuoto quindi l’acqua è rimasta nella mia vita quotidiana, ma faceva già parte di me. Al Nord non è così facile fare apnea, si può fare solo in piscina, al mare è più facile perchè puoi praticarla tutti i giorni.

Cosa ti ha fatto appassionare?

L’apnea ricreativa è uno sport bellissimo, è tutta una questione di sensazioni. Si fa pochissima fatica fisica e si conoscono tantissime sensazioni positive, che nascono dal fluttuare sott’acqua, è quasi un’esperienza primordiale, sembra una via di mezzo tra il volare e l’essere sospesi nel nulla. Queste sensazioni creano quasi dipendenza. È uno sport molto coinvolgente dal punto di vista mentale. Non c’è adrenalina, ci sono sensazioni che ti fanno stare bene con te stesso; è uno sport in cui si lavora di sé, sulle ansie, sulla respirazione, un po’ come lo yoga. Mediti, ti conosci e ti analizzi. 

Sei anche agonista?

Sì sono agonista. Quello dell’agonismo è un mondo un po’ diverso. Rispetto all’apnea ricreativa entra in gioco lo stress. Le gare consistono nello stare sotto il più possibile quindi bisogna combattere un po’ contro il proprio corpo e ciò che ti dice di non fare. Le gare sono uno step più in là sia dal punto di vista mentale che fisico. Le sensazioni positive ci sono, ma c’è anche molto stress; come in tutti gli sport agonistici il piacere di giocare viene inquinato dall’allenamento intensivo, ma le soddisfazioni rimangono davvero tante. Si evolve molto perché lavorando si raggiungono obiettivi che sembrano lontanissimi. Il mondo dell’apnea è socialmente molto bello, i concorrenti sono una grande famiglia, le gare sono divertenti. Quello fa la differenza: con i compagni di squadra ci troviamo bene e ci divertiamo; il bello delle gare sono il prima e il dopo della prestazione.

Quali pensi siano gli aspetti migliori di questo sport?

Il lavoro che fai su te stesso e il conoscersi fino in fondo. L’apnea permette di affrontare un lavoro su se stessi che raramente si farebbe. Oltre alle sensazioni ci sono anche i luoghi che si vedono. Fare apnea significa andare in giro e conoscere posti nuovi: Mar rosso, i laghi, il mare in Sicilia e in Sardegna. Si scoprono posti nuovi e si vede il mondo sotto al mare ed è incredibile. 

Ti piacerebbe diventare istruttore?

Sto facendo corso istruttore proprio adesso. Ho iniziato perché Andrea e Roland me l’hanno proposto in quando Manta Freediving, con cui mi alleno, sta crescendo. Non pensavo mi interessasse però da quando ho coinvolto e introdotto al corso un mio amico di Cavalese che non conosceva l’apnea, ho scoperto che insegnare e trasmettere la passione è molto bello.

L’apnea è anche un’attività di famiglia?

Sì, anche mia moglie è coinvolta e si è appassionata tantissimo. Anche i miei figli che vedono mamma e papà che lo fanno si sono appassionati e quando andiamo al mare diventano dei pesciolini che scoprono il mondo subacqueo. 

Autrice: Anna Michelazzi

Oltre il pubblico elegante: la classe operaia e l’immigrazione

Se il turismo aveva significato la “mobilità” delle classi elitarie ed agiate, in viaggio per le cure o per diporto, e se spontaneamente si rimane affascinati dalle mille storie di eleganti dame in cappello, guanti ed ombrellino, non si può però dimenticare che la città aveva anche un’altra anima, quella più facilmente pronta a scivolare nell’oblio della coscienza e della memoria: gli immigrati e la classe operaia.

La mobilità che da sempre aveva portato uomini e donne ad attraversare le nostre contrade, fu riattivata durante gli sconvolgimenti politici dell’età napoleonica, a cavallo fra XVIII e XIX secolo. 

Non solo, nel periodo dell’occupazione bavarese, nel primo decennio dell’Ottocento, anche i confini di stato e quelli delle diocesi subirono continui mutamenti. In questo turbinio di avvenimenti, mentre il Tirolo veniva smembrato e il confine tra Regno di Baviera e Regno d’Italia correva tra Gargazzone e Nalles, Merano divenne un fiorente centro commerciale e di contrabbando attraverso la val di Non. Per un breve periodo, dunque, fino alle nuove risoluzioni del Congresso di Vienna (1815), Merano fu la meta di un consistente numero di immigrati trentini, ma il nuovo declino che aveva reinghiottito la città determinò una battuta d’arresto nella mobilità. 

Dettata dal terrore del colera che nel 1836 dilagava da sud, ci fu una nuova e massiccia immigrazione dalle valli trentine.

Nel XIX secolo i lunghi periodi di guerra, le carestie, le epidemie abbattutesi con diversa intensità sugli stati asburgici, indussero numerosi tirolesi e trentini ad unirsi al movimento migratorio diretto oltreoceano, oppure a cercare stagionalmente, fuori dei propri confini, una qualche forma di sostentamento. 

Muratori, braccianti agricoli e artigiani lasciavano le proprie case per recarsi in Svizzera, addirittura in Sassonia, in Turingia, in Vestfalia Altri ancora si mettevano in cammino per piazzare la propria merce, generalmente minutaglia, da vendere di villaggio in villaggio.

L’attività del venditore ambulante era particolarmente esercitata dagli abitanti delle valli Gardena e Stubai, che giravano l’Europa vendendo oggetti anche di loro stessa produzione come tappeti, guanti, cappelli, sculture lignee, utensili e casalinghi. Simile destino era riservato ai braccianti delle valli trentine: i paroloti si mettevano in cammino per vendere e riparare paioli, i moleta per arrotare coltelli e lame, mentre i venditori di stampe del Tesino, ad esempio, facevano sognare ed arricchivano l’immaginario delle genti che incontravano. 

Le povere condizioni di vita in molte valli determinarono il particolare destino di una parte della popolazione venostana o meglio di uno specifico gruppo marginale di quella zona e dell’Alta Valle dell’Inn, che potremo indicare come girovaghi costretti dalla povertà a questo stile di vita: il fenomeno dei Karrner o Karrenzieher, trascinatori di carri. 

Autrice: Rosanna Pruccoli

Il rugby meranese al Trofeo Coni in Sicilia

Guardare avanti, passare indietro, ginocchia alte e placcare. Poche regole per un gioco appassionante, il rugby: uno di quegli sport che chi lo ha provato non riesce a smettere di amare, anche in età avanzata. Ma è dalle giovani leve che dipende il futuro dello sport, e a Merano un gruppo di atlete ha dimostrato che il futuro della palla ovale è roseo, tornando entusiaste e vittoriose dalla nona edizione del Trofeo Coni 2024 a Catania.

Alto Adige, terra di sport invernali e di calcio. Ma a Merano la palla è ovale, non tonda, e si prende con le mani, a meno che non si voglia effettuare un drop o portare il XV più vicino alla meta. Lo sanno bene i vertici della sezione rugby della Polisportiva Asm, che ha visto partire per la Sicilia dieci ragazze per quella che nell’ambiente viene comunemente definita l’Olimpiade degli Under 14. 

La manifestazione, che ha avuto l’onore della presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di apertura, nasce con l’intento di diffondere i valori universali della pratica sportiva quali elementi fondamentali per un equilibrato percorso di crescita della persona e dell’atleta. E quest’anno in Sicilia c’era un totale di circa 250 persone tra giocatori e staff, con una significativa maggioranza di partecipazione femminile. 

Fra queste, dunque, le dieci rugbiste altoatesine: alcune provenienti da Merano, altre da Bolzano, alcune di lingue tedesca, altre di lingua italiana, ma tutte unite dall’amore per la palla ovale. 

A Catania, poi – a detta di tutti, anche dagli allenatori Federali rappresentanti della Federazione Rugby, – le ragazze altoatesine hanno sfoggiato un’ottima forma e sono tornate tutte con una meravigliosa medaglia: la certezza di aver giocato dell’ottimo rugby e di aver dato il meglio di loro stesse, facendo nuove amicizie e  ampliando i propri orizzonti. “Hanno ottenuto una nuova certezza – spiegano dalla dirigenza – ovvero che il rugby insegna che si è avversari solo in campo: fuori ci si diverte tutti assieme”.

Autore: Luca Masiello

La piazzetta di Bolzano dedicata a Darwin

Una delle due piazzette dalle quali si può accedere alla Libera Università di Bolzano è dedicata al naturalista inglese Charles Robert Darwin. 
Nato il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury (Regno Unito), frequentando le scuole primarie fu affascinato da un libro del naturalista Gilbert White (1720-1793); iniziò a collezionare insetti, rocce e minerali, ad osservare gli uccelli. Ammesso nel 1818 alla rinomata Shrensbury School, nel tempo libero collezionò uova di uccelli e fece esperimenti chimici. Dal 1825 al 1827 frequentò la Facoltà di Medicina dell’Università di Edimburgo; fu anche in mare con i pescatori di ostriche e compì ricerche negli stagni locali. Presentò la prima relazione scientifica alla Plinian Society. Al Christ’s College dell’Università di Cambridge fu indirizzato da personalità scientifiche verso la storia naturale. L’occasione della vita fu la spedizione intorno al mondo con il brigantino HMS Beagle; viaggiò nel tempo, per cinque anni, nello spazio, Isole Capo Verde, Falkland, Galapagos, Coste del Sudamerica, Australia. Delle numerose osservazioni su flora e fauna, sulle formazioni geologiche, fece relazione ufficiale, pubblicata con il titolo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”. La teoria di Darwin, avvalorata da osservazioni compiute nei campi dell’anatomia comparata, dell’embriologia e della paleontologia, è universalmente accettata nell’ambito biologico. Nel 1859 pubblicò il capolavoro “L’origine delle specie attraverso la selezione naturale”, che trovò vasta accoglienza tra gli scienziati. Furono otto le edizioni mentre Darwin era vivo; in italiano fu tradotto nel 1864. Darwin pubblicò altri trattati scientifici, sviluppando altri temi. L’opera di Darwin fu molto apprezzata dalla comunità scientifica. Non mancarono i pubblici riconoscimenti. Sposatosi nel 1839 con Emma Wedgwood, la coppia ebbe dieci figli; trasferiti da Londra a Downe, nel Kent, Charles Darwin vi morì il 19 aprile 1882. Ebbe funerali di Stato, con sepoltura nell’Abbazia di Westminster.

Autore: Leone Sticcotti

Scherma: la magia della spada e della strategia

La scherma, uno degli sport più eleganti e antichi, ha trovato una sua dimensione anche a Bolzano, a partire dal1984, dove la passione per questa disciplina si è radicata nel corso degli anni. Con le sue radici storiche che affondano nel medioevo, la scherma è diventata non solo uno sport, ma anche un’arte marziale che promuove disciplina, rispetto e abilità tecnica.

Uno dei principali club di scherma a Bolzano è il Club Scherma Bolzano, che offre corsi per tutte le età, dai bambini agli adulti. Le lezioni sono tenute da istruttori qualificati, che trasmettono non solo le tecniche di base, ma anche i valori fondamentali della scherma: rispetto, onore e determinazione. 

I membri del club hanno l’opportunità di partecipare a competizioni regionali e nazionali, sviluppando così le loro capacità e vivendo l’emozione delle sfide. Fondato da un gruppo di ex atleti in cerca di un nuovo inizio dopo la chiusura del Circolo Scherma Bolzano, il Club celebra quest’anno il suo quarantesimo anniversario. In questo lungo periodo, l’associazione ha mantenuto una costante attività, raggiungendo traguardi notevoli sia nel settore agonistico che nell’organizzazione di eventi di rilevanza nazionale e internazionale. 

“In questi quarant’anni, il club ha vissuto numerosi eventi memorabili, con storie che meritano di essere raccontate. Un aspetto particolare della scherma però è il legame che si crea tra Maestri e allievi. Il combattimento richiede un’affinità speciale, che si sviluppa attraverso un intenso lavoro di squadra” afferma Salvatore Lauria, fondatore del Club e maestro a quinto livello del Bolzano. Grazie all’ impegno organizzativo del sodalizio, Bolzano ha ospitato in questi anni Campionati Europei Assoluti, gare di coppa del mondo e con cadenza annuale gare nazionali che hanno attirato nella città moltissimi atleti e accompagnatori. I risultati agonistici hanno sempre premiato Il Club che negli anni ha visto primeggiare i suoi atleti sia a livello regionale che nazionale.

Tra i talenti attuali, Lisa Pichler è stata convocata per gli allenamenti della Nazionale Under 20, partecipando regolarmente a gare internazionali. Tra gli Under 14, Vittoria Gabellini è la campionessa interregionale, mentre Nicolò Izzo e Caterina Lauria hanno ottenuto piazzamenti lusinghieri ai Campionati Italiani. Inoltre, Gabriel Panozzo ha trionfato nella prova Gold interregionale per Cadetti. Attualmente, il club allena circa 60 atleti, tra ragazzi, ragazze e adulti, impegnati in attività sia agonistiche che ludiche.  Praticare la scherma offre diversi vantaggi, come il miglioramento della coordinazione, della forza e della resistenza. Questo sport richiede concentrazione e strategia, stimolando la mente e favorendo la disciplina. Inoltre, promuove la socializzazione e crea un forte senso di comunità tra i membri del club. La scherma insegna ai giovani a risolvere rapidamente problemi tattici e tecnici, sviluppando le loro capacità cognitive. Gli atleti imparano a gestire i propri impulsi e a leggere i movimenti dell’avversario, arricchendo così sia il corpo che la mente.

Per chi desidera avvicinarsi a questo affascinante sport, è possibile trovare ulteriori informazioni sulle pagine social del Club o contattare Salvatore al numero 335 205 556. Gli allenamenti si svolgono nella palestra di via Resia presso il Palasport di Bolzano dal lunedì al venerdì. 

Autore: Niccolò Dametto

La grande danza e il teatro nella proposta di spettacolo in regione


INSERZIONE PUBBLICITARIA – La proposta del Circuito Danza del Trentino-Alto Adige curato dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento approda anche quest’anno in Alto Adige con un denso calendario di appuntamenti che partirà da Bolzano, tra il Teatro Cristallo e il Teatro Comunale, arrivando a toccare anche i comuni di Bressanone, Merano e Vipiteno.

Particolarmente ricca la proposta al Teatro Comunale di Bolzano, che vedrà in scena la Compagnia Zappalà Danza Après-midi d’un faune| Bolero| Le Sacre du printemps (12 novembre), la trilogia dell’estasi firmata da Roberto Zappalà, mentre il 22 novembre toccherà al Balletto di Milano con il Gran Gala del Balletto, un viaggio nel mondo della danza che spazia dai grandi classici al repertorio neoclassico della compagnia. A seguire, il 24 novembre (Teatro Studio-Teatro Comunale), spazio alla Compagnia Abbondanza/Bertoni, una tra le realtà più prolifiche del panorama italiano, con lo spettacolo Viro, mentre dal 28 novembre all’1 dicembre arriverà a Bolzano la Compagnia Opus Ballet con Sogno di una notte di mezza estate, una produzione che celebra William Shakespeare, racchiudendo musica classica, drammaturgia e danza contemporanea. Il 4 gennaio salirà sul palco del Comunale il Russian Classical Ballet con un classico del balletto come il Lago dei cigni (con le coreografie di Marius Petipa), che lascerà successivamente spazio a Silvia Gribaudi e alla MM Contemporary Dance Company e al loro Grand Jetè (18 gennaio), un progetto coreografico che esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Il 25 febbraio andrà in scena C’era una volta Cenerentola, una delle produzioni di maggior successo firmate dal Balletto di Roma (con la coreografia di Fabrizio Monteverde), mentre il mese di marzo vedrà infine protagonista il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest con il celebre balletto Romeo e Giulietta nella versione firmata da Renato Zanella (4 marzo). Ultimo appuntamento al Teatro Comunale, dal 27 al 30 marzo, con Assembly Hall, il nuovo lavoro di teatro-danza della compagnia canadese Kidd Pivot che esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività. E al Teatro Comunale di Gries, il 14 febbraio, ci sarà spazio anche per il lavoro del Balletto Civile dal titolo Davidson, liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo Pasolini.

Dopo il successo della scorsa stagione, il Teatro Cristallo di Bolzano sarà grande protagonista anche quest’anno con titoli e coreografi di assoluto prestigio: ci sarà la Compagnia Naturalis Labor con una serata dedicata al celebre ballo argentino dal titolo Tango Gala (4 dicembre), il Balletto di Siena con un classico natalizio senza tempo come Lo Schiaccianoci (23 dicembre), RBR Gli illusionisti della Danza con lo spettacolo volto a sensibilizzare il rispetto per l’ambiente e incentrato sull’acqua H₂OMIX (19 febbraio), oltre a Solo Goldberg Variations, manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni (14 marzo), e a Amour, acide et noix il 19 marzo, spettacolo firmato dal coreografo canadese Daniel Léveillé che parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tocco, della durezza della vita e del desiderio d evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.

Ma la programmazione del Centro in Alto Adige non si limita a Bolzano e andrà a toccare i comuni di Bressanone, Vipiteno e Merano, con tre compagnie di caratura internazionale: la Evolution Dance Theater con Blu Infinito, la MM Contemporary Dance Company con Ballade, e il Balletto di Siena con The great pas de deux. 

La Stagione Regionale Contemporanea

Un’unica Stagione tra Bolzano e Trento

Parallela alla tradizionale stagione, si snoda da novembre a marzo la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione tra il Centro S. Chiara e il Teatro Stabile di Bolzano, con un ricco cartellone di spettacoli tra Trento e Bolzano. 

Tra i protagonisti in Stagione quest’anno è possibile trovare la compagnia ravennate ErosAntEros, Babilonia Teatri (vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016), la Compagnia Abbondanza/Bertoni, i coreografi canadesi Clara Furey e Daniel Léveillé, i promettenti artisti italiani Leonardo Manzan e Rocco Placidi, la Compagnia Kepler- 452, i coreografi Aurora Bauzà e Pere Jou, e l’Ensemble Azione_Improvvisa, protagonista del debutto di “Nova Selva Sonora”, progetto che si avvale delle musiche di Mauro Lanza, Andrea Valle e Daniela Fantechi.

(inserzione pubblicitaria)