Sorrisi senza mascherine

Dal 11 febbraio via le mascherine all’aperto e si ritorna a vedere i sorrisi delle persone per strada. Questa gallery vuole dare spazio ai vostri volti di nuovo “completi” e ai vostri sorrisi. Questi scatti sono stati realizzati da Asuda Kawa Mahmood di COOLtour.

Arte contro la violenza

Per San Valentino le signore delle Pari opportunit  e dell’associazione Donne contro la violenza sono tornate in piazza della Rena per ribadire il proprio no alla violenza. E lo hanno fatto proponendo l’installazione “On Remembrance”, ideata dall’artista altoatesina Laura Volgger. Ecco alcune immagini negli scatti di Nicholas Rizziero.

Dare testimonianza. Persone disposte a dare se stesse.

Ricorrono in questi giorni gli anniversari della morte di Josef Mayr-Nusser (24 febbraio) e dell’esecuzione dei giovani della Rosa Bianca (22 febbraio). In entrambi i casi persone “come tutti noi” che non si sono piegate di fronte alla violenza di sistemi di potere che in forma manifesta o in modo subdolo annientano l’uomo.

“Se nessuno avrà mai il coraggio di dire loro di no, questo sistema non cambierà mai”. Disse più o meno così Josef Mayr-Nusser a un compagno che gli chiedeva come mai avesse osato rifiutarsi di prestare il giuramento delle SS, cosa che tutti gli altri camerati avrebbero fatto di lì a poco.
Sophie Scholl, poco prima di essere ghgliottinata nel freddo inverno bavarese, pronunciò queste parole: “Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare se stesso individualmente per una giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?”
Ci sono persone che sanno quando è il momento di dare testimonianza. Non per se stessi, ma per gli altri. A costo di perdere tutto.
“Intorno a noi c’è il buio”, scriveva Mayr-Nusser nel gennaio del 1938. “Il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione. In questa situazione dobbiamo dare testimonianza e vincere questo buio con la luce di Cristo, anche se ci attaccano, se non ci ascoltano e se ci ignorano. Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma, la più efficace. Abbastanza strano. Non la spada, né la violenza, né denaro, nemmeno l’influenza di capacità intellettuali e del potere spirituale, niente di tutto ciò ci è chiesto come condizione indispensabile ad erigere il regno di Cristo sulla terra. Il Signore ci ha chiesto qualcosa di assai modesto e al tempo stesso di molto più importante: dare testimonianza. Non si tratta, dapprincipio, di essere testimoni attraverso la parola, nemmeno attraverso l’azione. Spesso può essere più opportuno tacere; spesso anche la migliore azione può essere distorta. Ma sempre dobbiamo essere testimoni. Esserlo con semplicità e senza pretese. Ecco la più grande testimonianza!”

Autore: Paolo Bill Valente

Ludwig von Comini, il medico della vite

Se vi è chi ha lottato e lotta contro i virus patogeni per l’uomo e per gli animali, vi è anche chi ha lottato contro le malattie delle piante, come Ludwig von Comini, cui è intitolata una via, parallela alla via Volta. Chi era e cosa fece? Nato ad Innsbruck il 19 giugno 1814, frequentato il Ginnasio regio-imperiale di Innsbruck, dal 1836 proseguì gli studi alla scuola regio imperiale Mariabrunn presso Vienna. Dopo un periodo in farmaceutica entrò nel servizio forestale in Tirolo. Sposatosi a Bolzano nel 1840, nel 1849 rilevò un maso che la moglie aveva ereditato, il “Kalchgruberhof”, con vigneti sia nel borgo di Bolzano che ai Piani. Alle viti di uno dei suoi beni il 3 agosto 1851 Ludwig Comini scoprì per la prima volta l’infestazione attraverso il fungo aspergillus, importato nel 1850 dal Nordamerica in Europa, l’Oidium tuckeri, temuto e conosciuto come “puro Oidio”. Scoperte le ife, filamenti, dei funghi come agenti patogeni, nel 1853 nella sua tenuta ai Piani di Bolzano iniziò a tentare di lottare contro la malattia della vite che si stava rapidamente diffondendo. Quando nel 1855 gli agenti patogeni comparvero massicciamente anche in altri paesi europei, Comini viaggiò per l’Italia, La Francia e la Grecia, per apprendere qualcosa sui mezzi di difesa approntati; tornato in patria tentò ancora, fino a trovare un efficace mezzo di difesa nell’impollinazione delle viti ammalate con zolfo polverizzato e secco. Per gli anni di lavoro e l’incessante divulgazione, verbale e scritta, in tutte zone a viticoltura del paese, gli venne dato il soprannome di “Schwefelapostel”, “Apostolo dello zolfo”. Pubblicate le sue scoperte nel 1858 in lingua tedesca, due anni dopo lo fece in lingua italiana, con la “Lettera ai viticultori”. La lunga battaglia consumò le sue forze, oltre al patrimonio. Sempre più indebolito, Ludwig, farmacista, enologo, agronomo e conte austriaco, dovette soccombere, tanto da morire a 55 anni, con forti dolori, a Bolzano l’11 gennaio 1869.

Autore. Leone Sticcotti

Nuovi stimoli per la “Dante”

Dopo un anno importante di eventi in occasione dei 700 anni dalla morte del grande poeta, le sezione altoatesina della Società Dante Alighieri vede in questo 2022 un avvicendamento alla guida. Dopo più di 20 anni Giulio Clamer lascia la Presidenza alla professoressa Raffaella De Rosa, un’insegnante molto nota a Bolzano sia per la sua attività con i ragazzi che nel suo ruolo a lungo ricoperto nell’intendenza scolastica. Con De Rosa vediamo insieme quali sono i temi suoi quali la Società cercherà di concentrarsi nel prossimo futuro.

Conclusa con il 2021 la ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante, verrebbe da voltare pagina. Ebbene, non è così perché, come ha sottolineato durante l’assemblea soci il Dottor Giulio Clamer, colonna portante da più di 20 anni della Società Dante Alighieri di Bolzano: “ogni anno è anno del Sommo Poeta”. Ed è proprio il compito dell’associazione tenere viva la memoria di Dante. A cambiare dopo diversi anni, invece, è la Presidenza, ora ricoperta da una donna, la professoressa Raffaella De Rosa, eletta il 20 gennaio dall’assemblea del Comitato di Bolzano durante la riunione tenuta al Centro Kolping in Piazza Domenicani. Scelta per la sua lunga esperienza a scuola, prima come insegnante e poi nell’intendenza scolastica, De Rosa spiega: “sarà per tutti di fondamentale importanza garantire una costante collaborazione con scuole, classi e studenti, grazie ad eventi e manifestazioni. Ho ricevuto una grande eredità e responsabilità, ma Giulio Clamer ha promesso di restare a lavorare con noi. Lui rappresenta la memoria storica della nostra associazione e ha in mano tutto ciò che bisogna fare, sia sul piano culturale, sia su quello amministrativo”. Il programma per il 2022 è ricco di approfondimenti culturali che spazieranno dalla figura di Mazzini a quella di Pier Paolo Pasolini, per arrivare alla celebrazione del Dantedì, una giornata istituita soltanto nel recente 2020, che coincide con il 25 marzo, giorno in cui il Sommo Poeta iniziò il viaggio immaginario descritto nella Commedia. Tra i relatori: Caramaschi, Vivarelli, De Bortoli e Onorati. Maggiori informazioni circa gli eventi sono disponibili sul sito www.dabolzano.it. “Ho l’onore di presiedere un Direttivo attivissimo su diversi fronti: letterario, storico ed educativo. Riguardo a quest’ultimo – specifica la neo Presidente De Rosa – Bolzano è la prima città al mondo come numero di certificazioni PLIDA effettuate, e questo grazie alla possibilità di convertire la certificazione con un patentino riconosciuto a livello provinciale. Inoltre, nel nostro capoluogo non sono presenti i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti e, laddove ce ne fosse la necessità, come nel caso degli stranieri che richiedono i permessi di soggiorno, la certificazione PLIDA attesta le capacità e il livello delle conoscenza della lingua italiana.”
Il principale nuovo stimolo dell’associazione arriva però dall’appena nato gruppo di giovani, unico in tutto il mondo. “In altre regioni erano presenti, ma non sono mai decollati. L’iniziativa è stata accolta con grande entusiasmo anche dal Direttivo degli adulti. I giovani serviranno senz’altro per dare continuità e prospettiva alla Società” ha concluso De Rosa.
Damiano Visentin, della Dante Giovani, commenta così: “è un grandissimo onore accolto con tanto entusiasmo da tutti noi. Credo sia importante, oggi, dare una valvola di sfogo ai giovani, con occasioni di crescita e confronto, cooperando anche con altre realtà. Il nostro primo appuntamento sarà il ‘Caffè letterario’ che si pone come obiettivo proprio l’incontro tra giovani”.

Autore: Andrea dalla Serra

“Il mio sogno? Una Merano a colori”

Coordinatore del centro di salute mentale a Casa Basaglia da circa un anno e mezzo, Francesco Boccia si è trasferito a Merano per motivi di lavoro. Da quando è arrivato qui in città ha cercato di portare avanti delle significative battaglie contro gli stigmi sociali e culturali legati alle malattie mentali e all’identità di genere. E lo fa scegliendo un modo autentico, parlando di se stesso e raccontando la sua esperienza come attivista per i diritti delle persone Lgbt.

// Di Francesca Morrone

In occasione di alcuni eventi celebrativi internazionali come “il coming out day” e non per ultimo la manifestazione spontanea a Merano a favore dei diritti delle persone Lgbt, anche il QuiMerano ha voluto dedicare uno spazio per raccontare chi sta dall’altra parte e che è disposto a  sacrificare i dettagli della propria vita privata a favore del riconoscimento di un diritto universale. 

Francesco Boccia, ci parli della sua storia. Quando comincia il percorso verso la dichiarazione della sua omosessualità? 
Devo premettere alcuni particolari della mia adolescenza: vengo dalla provincia di Salerno e sono cresciuto circondato dall’affetto di tre donne amorevoli, ma al tempo stesso molto presenti: mia madre, mia zia e mia sorella. Perdo mio padre giovanissimo a causa di un incidente stradale. A 26 anni mi invaghisco di un ragazzo, ma entrambi capiamo subito che quella esperienza è più grande di noi. A 15 anni la prendevo come un gioco, anche se i miei amici a scuola mi prendevano in giro. Credo che allora non ci fosse l’attenzione che c’è oggi sul tema del bullismo e quindi determinate discriminazioni passavano inosservate per chi le agiva, mentre la vittima non era in grado di comprendere la portata di quell’abuso. 

Che cosa succede dopo? 
Ho una lunga relazione con la mia compagna fino a quando una sera dopo una brutta discussione sento che c’è qualcosa che non va. Non ero soddisfatto della mia vita, qualcosa mi impediva di essere quello che forse il mio corpo e la mia mente volevano esprimere. Dico basta! Dopo qualche tempo e un percorso di psicoterapia, decido di liberarmi di un peso enorme che non sopportavo più e faccio coming out, dichiarando di essere attratto dagli uomini prima alla mia mamma e poi ai miei amici più stretti. 

Qual è stata la loro reazione? 
Innanzitutto ricordo che il mio allenatore in palestra mi disse, “Sei più luminoso, Francesco. Sembri felice, rinato”. E lo ero. Ero davvero felice di essermi alleggerito non di un segreto, ma semplicemente di qualcosa che volevo condividere con le persone a me care. Mia madre non mi ha parlato per parecchi mesi, ma io non le ho mai voltato le spalle e ho tenuto in piedi un rapporto telefonico fatto di monosillabi. Mai colpevolizzare i genitori, mai tagliare i ponti con loro; a volte si tratta di persone con un bagaglio di vita più limitato rispetto al nostro e con delle convinzioni che fanno capo alla cultura e alla mentalità del loro tempo. Oggi ci parliamo e corro subito a trovarla durante le vacanze, ma l’argomento “omosessualità” resta ancora un tabù per lei. Eh, gli amici: alcuni li ho persi, molti altri ne ho trovati. 

Cos’è cambiato dal suo coming out, dalla sua dichiarazione di omosessualità? 
È stato doloroso arrivare al coming out, il periodo della transizione l’ho vissuto con malessere e insicurezza, ero nervoso, irascibile, mentre dopo mi sono sentito libero. Oggi posso dire di essere una persona equilibrata e di stare bene con me stesso. Risolto questo aspetto, il mio percorso dopo il coming out è stato poco traumatico: non sono stato discriminato né offeso come persona.

Ultimamente lei è stato protagonista della campagna elettorale  durante le ultime elezioni amministrative a Merano. Come slogan ha scelto volutamente lo slogan “Merano a colori. No stigma”: che cosa intedeva con qiuesta frase?
Lavorando in ambito psichiatrico sono consapevole del fatto che vi siano molti pregiudizi e reticenze nei confronti dei malati psichiatrici. Si tratta di un fenomeno culturale che grazie a diverse campagne di informazione e di sensibilizzazione cerchiamo di arginare ormai da molti anni. Inoltre c’è una certa correlazione tra lo stigma della malattia mentale e quello dell’omosessualità. Molti sono i giovani che, ad esempio, non potendo vivere serenamente la propria sessualità sviluppano malattie mentali. Per questo ho scelto di dedicare la mia campagna elettorale ai temi dell’omosessualità e della malattia mentale; sogno una Merano a colori, sogno l’abbattimento di pregiudizi e barriere nei confronti di uomini e donne che decidono di amare come desiderano, senza dovere essere giudicate o ancor peggio discriminate. Sarò davvero contento quando a Merano vedrò sventolare la bandiera a colori. 

Ora che si è fatto conoscere in città, quali sono i progetti in cantiere che l’attendono?  
Sabato 30 ottobre sono riuscito ad organizzare in via Cassa di Risparmio a Merano un flash mob  spontaneo di cittadine e cittadini che si sono raccolte per manifestare la propria solidarietà nei confronti dell’affossamento del disegno di legge Zan che attua nuove misure di prevenzione e di contrasto alla della discriminazione delle persone omosessuali e con disabilità. Sono intervenuti anche rappresentanti dell’Associazione Centaurus di Bolzano. Nel frattempo ho ricevuto delle chiamate anche da parte dell’Ufficio delle Pari Opportunità di Merano. L’affossamento del DdL Zan è stato un pugno in faccia per me. Un colpo al cuore, una sconfitta per l’Italia. Siamo molto indietro rispetto a molti paesi che hanno già una legge contro la omobitransfobia. In Italia, nonostante i dati allarmanti sulla violenza e la discriminazione, ancora oggi manca una legge che tuteli le persone omo, bi e transessuali. 

Cosa si sente di rispondere alle persone che dicono che non c’è bisogno di una legge contro l’omofobia? 
Che non è scontato, purtroppo. Le discriminazioni contro le persone omosessuali o con disabilità sono molto più frequenti di quanto noi crediamo. Dobbiamo poterci difendere da chi ci aggredisce non perché abbiamo fatto qualcosa, ma perché siamo e rappresentiamo qualcosa che distorce la loro visione di realtà.

In attesa dell’approvazione di uno strumento legislativo di tutela, cosa possiamo fare? 
In attesa della legge dobbiamo puntare molto sull’idea di educazione dei giovani e delle famiglie. C’è bisogno di conoscenza per scoprire  il mondo degli altri, di educazione per affrontare pregiudizi e tabù e di sensibilità per trattare tutti i nostri simili con rispetto e dignità. Ad esempio pochi sanno che il 17 maggio di ogni anno ricorre la giornata internazionale contro l’omobitransfobia. Questa giornata è stata scelta perché il 17 maggio del 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità decise di depennare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola “una variante del comportamento umano”.

Autore: Francesca Morrone

Per Laura l’informatica non è “solo per maschi”

La passione per lo studio, l’applicazione concreta di una propria conoscenza che si presta alla risoluzione dei problemi nel modo più efficace possibile e anche una buona dose di buona volontà, hanno portato la bolzanina Laura Acinapura a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi nazionali di Informatica.

L’informatica nella vita quotidiana
“Ho iniziato il mio percorso nell’indirizzo tradizionale del Liceo Scientifico Torricelli, un indirizzo che, avendo il latino ma non l’informatica, mi è sembrato quasi più classico/umanistico che scientifico. Negli stessi anni, tramite un gruppo di amici, sono venuta a conoscenza dell’esistenza delle Olimpiadi di Informatica – ci racconta Acinapura – e ho trovato diversi problemi che mi affascinavano.”
Di quali problemi si trattava e, successivamente, quali di questi si è vista sottoporre durante le gare, Laura lo chiarisce immediatamente con un linguaggio accessibile ai non addetti ai lavori, ma sempre preciso: “quando ci si immagina un problema di informatica non si deve pensare a qualcosa che sia collegato alla tecnologia. Quelli che dobbiamo risolvere sono problemi di vita comune, come ad esempio spostarsi da una città all’altra in un modo razionale, utilizzando la strada più rapida. Sembra un problema informatico? No, eppure è proprio l’informatica che, attraverso gli algoritmi, risolve questo genere di problemi. Insomma, dobbiamo massimizzare i nostri risultati.”
Inizialmente il Liceo di Laura non partecipava a questo genere di competizioni. “Ho deciso, quindi, di proporre alla mia scuola di prenderne parte e – prosegue – insieme ad altri 2 studenti ho svolto prima le fasi regionali, passando a quelle nazionali per poi vincere la medaglia di bronzo.”

Laura Acinapura

La medaglia d’oro
“Essendomi qualificata quell’anno, nel 2021 sono potuta passare direttamente alle fasi nazionali, tenute a novembre. Il risultato è stato assolutamente positivo: ho ottenuto la medaglia d’oro, che viene data solo ai migliori 13 su 158 partecipanti”, spiega Laura. Interessante è vedere anche il numero di ragazze: lei l’unica in Italia con l’oro, e tra tutti solo 13 femmine, una partecipazione che non è mai stata così alta, ma il numero rimane lo stesso basso…

Poche ragazze? “Diamo più opportunità”
“Per me l’informatica è stata da sempre un’estensione della matematica, un campo del ‘problem solving’, un aspetto teorico più che pratico che, come dicevo prima, non riguarda l’utilizzo dei computer.” E sul basso numero delle ragazze interessate all’informatica, Laura aggiunge: “Si vedono poche ragazze in questo ambito, quindi è difficile che qualcuna sia invogliata ad affacciarsi a questo mondo. Poi l’assenza di opportunità non è sicuramente d’aiuto e, nell’immaginario collettivo, è un’attività tipicamente maschile: bisogna cambiare.”

Pensando al futuro…
“Adesso posso avere la possibilità di andare alle gare internazionali, la vera sfida Olimpica. E, anche se la passione per scrivere codice rimarrà, non voglio andare a studiare informatica, quanto invece fisica, probabilmente all’ETH di Zurigo”, ha concluso Acinapura.

Autore: Andrea Dalla Serra

Un weird western per conoscere i pellerossa

Il termine tecnico per descriverlo è “weird western”, che in italiano di potrebbe tradurre con “Fantawestern”, un filone letterario che mescola western e fantasy, horror o fantascienza. Un genere che lo scrittore bolzanino Andrea Zanotti ha utilizzato per il suo ultimo libro, “Inno cannibale” (edizioni Dark Zone): quasi trecento pagine fresche di tipografia che sembrano destinate a diventare un cult fra gli appassionati del genere. Zanotti non è nuovo a questo tipo di scrittura: ha sfruttato le atmosfere western con “Voodoo”, e il fantasy – horror sembra quasi un filo conduttore che unisce le sue tante opere (“Dracophobia” in primis, giusto per fare un esempio).
Ma con “Inno cannibale” Andrea Zanotti compie un passo in più, e nel narrare una storia avvincente regala ai suoi lettori uno spaccato degli Stati Uniti in un periodo storico poco conosciuto, o comunque poco studiato da questa parte dell’Oceano: quello dopo la guerra di Secessione. L’autore snocciola nomi di personaggi che sono entrati nell’immaginario collettivo, da Toro Seduto al generale Custer, dal presidente Johnson a Geronimo, li fa interagire e ambienta dunque la trama del libro in una precisa dimensione spazio temporale, descrivendo in sottofondo i fatti storici realmente accaduti.
E la trama è pane per i denti degli appassionati del genere.
Black Mamba, donna-medicina a capo della tribù dei Senza-lingua, ha convocato il cerchio degli Elders, gli anziani capi di tutte le genti pellerossa. Nuovi alleati sono disposti ad aiutare le tribù contro i visi pallidi, è sufficiente unirle per innalzare l’inno cannibale, anche se l’intero ordine del creato verrà sconvolto dal rito, dato che Black Mamba vuole risveglierà Yužáža, “Colui che sgozza gli Dei”. Ma le grandi manovre dei selvaggi non passano inosservate al colonnello Souther, gerente della Clinica psichiatrica federale nr. 51. Sta a lui risolvere il problema dei “musi rossi”. Ma chi spedire in Sierra Nevada, nel covo della sciamana? La scelta cade su Marc Trementina De La Cruz, il suo compare Jo Occhiomoscio e il resto della loro improbabile banda di antieroi. Solo serpi di quella risma potranno resistere a ciò che li attende in quelle lande infestate: Wendigo, Skinwalker, Si-Te-Caha e tutte le leggende da incubo dei nativi, riportate in vita dalle malie di Black Mamba.

Autore: Luca Masiello