L’apnea è uno sport di sensazioni

Luca Messina – siciliano di nascita, milanese di formazione e trentino di domicilio – lavora a tempo pieno come architetto, marito e padre e ha una grande passione per l’apnea che lo porta a venire a Bolzano da Cavalese, per poterla seguire da agonista e futuro istruttore. 

Come hai scoperto l’apnea? 

Ho iniziato sin da piccolissimo. Abitando in Sicilia il mare era un elemento quotidiano. Mio padre era un pescatore subacqueo e, vedendolo, da bambino il mio istinto era quello di copiarlo e seguirlo. Poi ho iniziato a fare nuoto quindi l’acqua è rimasta nella mia vita quotidiana, ma faceva già parte di me. Al Nord non è così facile fare apnea, si può fare solo in piscina, al mare è più facile perchè puoi praticarla tutti i giorni.

Cosa ti ha fatto appassionare?

L’apnea ricreativa è uno sport bellissimo, è tutta una questione di sensazioni. Si fa pochissima fatica fisica e si conoscono tantissime sensazioni positive, che nascono dal fluttuare sott’acqua, è quasi un’esperienza primordiale, sembra una via di mezzo tra il volare e l’essere sospesi nel nulla. Queste sensazioni creano quasi dipendenza. È uno sport molto coinvolgente dal punto di vista mentale. Non c’è adrenalina, ci sono sensazioni che ti fanno stare bene con te stesso; è uno sport in cui si lavora di sé, sulle ansie, sulla respirazione, un po’ come lo yoga. Mediti, ti conosci e ti analizzi. 

Sei anche agonista?

Sì sono agonista. Quello dell’agonismo è un mondo un po’ diverso. Rispetto all’apnea ricreativa entra in gioco lo stress. Le gare consistono nello stare sotto il più possibile quindi bisogna combattere un po’ contro il proprio corpo e ciò che ti dice di non fare. Le gare sono uno step più in là sia dal punto di vista mentale che fisico. Le sensazioni positive ci sono, ma c’è anche molto stress; come in tutti gli sport agonistici il piacere di giocare viene inquinato dall’allenamento intensivo, ma le soddisfazioni rimangono davvero tante. Si evolve molto perché lavorando si raggiungono obiettivi che sembrano lontanissimi. Il mondo dell’apnea è socialmente molto bello, i concorrenti sono una grande famiglia, le gare sono divertenti. Quello fa la differenza: con i compagni di squadra ci troviamo bene e ci divertiamo; il bello delle gare sono il prima e il dopo della prestazione.

Quali pensi siano gli aspetti migliori di questo sport?

Il lavoro che fai su te stesso e il conoscersi fino in fondo. L’apnea permette di affrontare un lavoro su se stessi che raramente si farebbe. Oltre alle sensazioni ci sono anche i luoghi che si vedono. Fare apnea significa andare in giro e conoscere posti nuovi: Mar rosso, i laghi, il mare in Sicilia e in Sardegna. Si scoprono posti nuovi e si vede il mondo sotto al mare ed è incredibile. 

Ti piacerebbe diventare istruttore?

Sto facendo corso istruttore proprio adesso. Ho iniziato perché Andrea e Roland me l’hanno proposto in quando Manta Freediving, con cui mi alleno, sta crescendo. Non pensavo mi interessasse però da quando ho coinvolto e introdotto al corso un mio amico di Cavalese che non conosceva l’apnea, ho scoperto che insegnare e trasmettere la passione è molto bello.

L’apnea è anche un’attività di famiglia?

Sì, anche mia moglie è coinvolta e si è appassionata tantissimo. Anche i miei figli che vedono mamma e papà che lo fanno si sono appassionati e quando andiamo al mare diventano dei pesciolini che scoprono il mondo subacqueo. 

Autrice: Anna Michelazzi

Johanna: una donna impegnata a fianco delle donne e dei minori

Johanna Herbst è nativa di Nova Ponente, ha studiato Legge a Trento e Innsbruck e nel 2004 ha aperto il suo studio legale a Egna. Con tenacia ha cercato e trovato la sua strada ed è riuscita ad affermarsi. Si batte per i diritti delle donne e dei minori, svolge anche attività di volontariato riguardanti i diritti delle donne, come ad esempio la consulenza legale per l’Ufficio Donne. 

Quando nacque in lei l’aspirazione di diventare avvocata?

In realtà, fin dall’inizio avevo un chiaro desiderio di studiare legge e, come molti altri, durante il percorso di studi avevo desiderato di diventare giudice. Dopo la laurea, però si conosce per la prima volta la realtà, cioè si inizia in piccolo, ci si rende conto che bisogna aspettare che vengano banditi i concorsi, ma nel frattempo si vuole/deve fare esperienza pratica e guadagnare allo stesso tempo. Così ho iniziato con un tirocinio presso un legale, poi ho insegnato diritto nelle classi quarta e quinta della scuola professionale Kaiserhof di Merano. Poi ho ricoperto l’incarico di giudice onorario presso il Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, per poi rendermi conto col tempo che mi sentivo più a mio agio nella professione legale.  

Quale il caso che la scosse e la tenne in ansia?

I casi peggiori per me sono quelli che riguardano abusi e violenze. Di recente sono rimasta sconvolta dagli abusi sessuali su bambini minorenni da parte dei loro stessi zii e nonni, così come dagli abusi sui bambini da parte dei loro stessi genitori e parenti. In casi come questi, ci si interroga sulla specie umana.

Quando respirò per la prima volta il senso di aver contribuito a che giustizia fosse fatta?

È una domanda molto difficile e delicata, perché “avere ragione” e “ottenere la ragione” sono due aspetti diversi. Per esempio, posso avere ragione ma non ottenere giustizia perché non ci sono prove sufficienti. Il nostro sistema giuridico non ha nulla a che fare con la giustizia. Le leggi sono fatte dai politici. Esistono quindi principi, regole e norme giuridiche che devono essere attuate e applicate dal giudice secondo un ordine procedurale definito e nel modo già stabilito. In questo sistema, l’avvocato cerca di aiutare il cliente a realizzare le sue richieste scegliendo le opzioni migliori, spiegando il sistema e la legislazione e valutando i rischi e gli effetti collaterali. Ciò significa che, a prescindere dal fatto che si ritenga una cosa giusta o ingiusta, il senso di giustizia non gioca alcun ruolo nel procedimento. Così si impara rapidamente che l’atteggiamento idealistico nei confronti della giustizia con cui si è iniziato a studiare deve essere riconsiderato nella pratica.  Solo nel migliore dei casi si ha la sensazione di aver non solo vinto la causa, ma anche di aver assicurato la giustizia. 

Se non sbaglio lei ricopre un ruolo nel tribunale minorile… 

Un ruolo non è forse il termine giusto. Lavoro come curatrice speciale per i minori e sono iscritta in un apposito registro. Il curatore speciale può essere nominato dal Tribunale per i minori, ma anche dal Tribunale ordinario, quando il minore è in conflitto con i propri genitori o i suoi interessi non coincidono con quelli dei genitori. In altre parole, ogni volta che il minore ha bisogno di far sentire la propria voce e cioè di propria rappresentanza legale. Sono quindi, per così dire, l’avvocato del minore e rappresento solo il minore, indipendentemente da ciò che i genitori vogliono o non vogliono.

Come donna come si trova nel mondo dell’avvocatura altoatesina?

Nel frattempo, ho lavorato a lungo, sono stata accettata, integrata, e affermata. Con il passare degli anni, se non ti arrendi, trovi la tua strada e il tuo stile personale. Ma come donna, devi ancora superare più di un ostacolo, e aspettarti tempi di avviamento più lunghi. La parità di diritti non è ancora stata raggiunta.      

Come donna cosa vorrebbe fosse migliorato nel suo ambiente professionale?

Migliore compatibilità della professione con la vita familiare. Inoltre, le donne avvocato non possono sempre scegliere i settori in cui lavorare. In quanto donna, devi occuparti dei casi che ti vengono sottoposti o che ti vengono affidati e, a causa dei casi che devi trattare, cresci in una specializzazione. Ecco perché molte colleghe lavorano nel Diritto di famiglia, ad esempio, perché in quanto donna è più probabile che venga loro affidato questo settore. Se per esempio, come avvocato donna, volessi specializzarmi in Diritto societario, ma non riuscissi a trovare un impiego in uno studio legale e quindi diventassi una libera professionista senza però essere incaricata di trattare casi di questo tipo, non avrei scelta. Purtroppo in alcuni settori, i clienti credono ancora che un avvocato uomo possa gestire meglio il caso. Questi settori sono ancora dominati dagli uomini, cioè le grandi e importanti aziende sono ancora prevalentemente o esclusivamente gestite da maschi a livello decisionale, e per questo si rivolgono ad avvocati uomini. Secondo un recente studio commissionato dall’Ordine degli Avvocati di Bolzano, esistono ancora forti differenze di reddito. In media le donne avvocato guadagnano meno dei loro colleghi uomini. C’è ancora molto da fare.

Autrice: Rosanna Pruccoli

La musica come identità e voce, per un un giovane talento

Oggi abbiamo il piacere di incontrare Kleris Qosja, un giovane di vent’anni nato a Brescia e cresciuto a Bolzano, nel quartiere Don Bosco. Kleris è un DJ appassionato, che ha trovato nella musica non solo una professione, ma anche un modo per esprimere sé stesso e connettersi con gli altri. Dopo aver frequentato a Bolzano l’istituto Galileo Galilei, ha iniziato a esplorare il mondo della musica, guidato dall’amore trasmesso da suo padre.

Quando ti sei appassionato al mondo della musica?

La mia passione per la musica è iniziata da quando ero molto piccolo, grazie a mio padre che mi ha trasmesso questo amore. Passavamo molto tempo ad ascoltare insieme le sue canzoni preferite, e penso che quel legame speciale mi abbia fatto comprendere quanto la musica fosse fondamentale per me. 

Perché hai scelto proprio di diventare DJ?

Essere DJ mi permette di trasformare le emozioni in musica e condividerle con gli altri, è anche un modo per sentirmi davvero bene e me stesso. Sentire l’energia della folla e creare una connessione speciale attraverso ogni brano è un’emozione unica.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

La cosa che amo di più è vedere la reazione delle persone mentre suono. La loro energia e il loro entusiasmo creano una connessione speciale. Mi dà un’immensa soddisfazione riuscire a creare momenti che possono diventare indimenticabili.

Quali sono alcuni dei tuoi obiettivi raggiunti?

Sicuramente uno dei miei traguardi più importanti è stato suonare al Festival Studentesco. È stata un’esperienza che mi ha letteralmente cambiato la vita, facendomi capire che tutto l’impegno e la passione stavano finalmente portando risultati veri.

Com’è vivere nel quartiere Don Bosco?

Vivere a Don Bosco è davvero piacevole, è una zona tranquilla dove ho tanti bei ricordi con gli amici. È il quartiere in cui sono cresciuto. 

Ci racconti un ricordo particolare legato alla tua infanzia di quartiere?

Un ricordo speciale è aver condiviso questa mia passione per la musica elettronica con il mio migliore amico Matteo e aver da li creato un legame indelebile.

Che genere di musica ti piace suonare?

Mi piace suonare musica elettronica e dance, ma in realtà cerco sempre di adattarmi al pubblico e al contesto. L’importante è che la musica trasmetta energia.

Qual è il tuo più grande sogno?

Il mio sogno più grande è sicuramente quello di suonare nei festival più grandi al mondo con un’identità mia musicale (essendo anche un produttore di musica elettronica), avere un mio stile e far divertire le persone facendo entrare nel loro cuore ciò che voglio trasmettere.

Quali sono gli ingredienti necessari per una festa ben riuscita?

Per una festa perfetta ci vogliono buona musica, persone con voglia di divertirsi e un’atmosfera che permetta a tutti di essere sé stessi. La musica è fondamentale: ha il potere di creare legami e di far esprimere le persone. Può trasmettere emozioni che non riesci a spiegare a parole.

Autore: Niccolò Dametto

Il primi cinquant’anni del CLS


Scendendo da ponte Druso per la via omonima, girando a sinistra per via Roma, si nota, al n. 9, la targa, all’ingresso di un passaggio, con la scritta “C.L.S. agenzia di educazione permanente”. Si accede infatti alla sede, dal 1991, del Consorzio Lavoratori Studenti. L’agenzia divenuta punto di riferimento per l’educazione permanente ha celebrato il 14 ottobre i 50 anni di attività: corsi (recupero scuola media superiore, universitari, informatica, arte, lingue, Fondo Sociale Europeo, formazione immigrati…), laboratori creativi, conferenze, recupero anni scolastici e assistenza allo studio. Vengono proposti corsi di storia dell’arte, laboratori artistici e di piccolo artigianato. Non mancano i corsi di cucina, di degustazione, così come i corsi di crescita e sviluppo personale. Fin dalla sua nascita ha difeso il diritto allo studio, alla formazione, all’integrazione.  Ciò con il percorso di preparazione agli esami di idoneità  e all’esame di Stato di Scuola Secondaria Superiore tramite un sostegno individuale o in piccoli gruppi. Al centro del suo “lavoro”  il C.L.S ha messo l’attenzione, l’accompagnamento e l’accoglienza di ogni singolo partecipante. Come continuare a fare della cultura e dell’apprendimento il fine della propria attività? Se ne è parlato il 14 ottobre all’Eurac Researc, in via Druso, per ricordare appunto i 50 anni trascorsi  e presentare le nuove sfide che aspettano il C.L.S. nei prossimi anni. A fare gli onori  di casa è stato il trio dirigenziale, Patrizia Zangirolami, Matteo Grillo, Bianca Monti, mentre, al pubblico dell’auditorium (docenti e discenti, con amici e parenti) hanno dato il loro contributo esperti nel campo dell’educazione e della formazione continua. La manifestazione si è conclusa con un momento conviviale.

Autore: Leone Sticcotti

Fare quello che non c’è

Qui Intervista a Sergio Camin. Nato nel 1950 a Bolzano, vive e lavora a Ville di Fiemme, Varena (TN), e cerca da più di cinquant’anni di far convivere l’attività pittorica e grafica con la progettazione di luoghi narrativi e di interventi d’arte pubblica e di comunicazione sociale. Iscritto all’ordine dei giornalisti, ha collaborato con giornali e riviste, sua la rubrica “Visti dal Basso” sul quotidiano Alto Adige.

La cosa di me che mi piace di più.

Probabilmente, se me lo fossi chiesto qualche anno fa, avrei risposto la speranza. Adesso c’è molto meno, ma, mai aver paura delle contraddizioni. Mi è rimasta una cosa un po’ diversa che potremmo chiamare entusiasmo, nel senso che non spero, ma ci provo.

Il mio principale difetto.

Beh, sicuramente l’entusiasmo.

Il mio momento più felice.

Svegliarmi la mattina e ritrovare Claudia, un rapporto senza recite, senza finzioni e quella cosa straordinaria che è il sentirsi interi, completati.

Da bambino sognavo di diventare…

Io da bambino non ho mai sognato di diventare, da bambino ero di volta in volta indiano, cowboy, guerriero e non a caso si diceva “facciamo che io ero…”

La mia occupazione preferita.

Il mio lavoro, l’artista, e la cosa è un po’ complessa da far capire agli altri. La prima volta mi è successo a 26 anni, all’inaugurazione di una mia mostra a Mantova. La signora elegante aveva una faccia seria e mi chiese “Belli, ma di lavoro lei che cosa fa?”. Ecco: questo facevo e faccio.

Il luogo dove vorrei vivere.

Quello dove vivo, un paese piccolo con i boschi. Il turista vado a farlo in città.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

È successo raramente, ma ricordo l’ultima. Fila in autostrada, immobili, dietro di me una Ford grigia, 20 minuti, sempre immobili, tutti meno la Ford che mi tampona con forza. Sono uscito dalla macchina e mi sono limitato a chiedergli “Perché?”.

Tre aggettivi per definirmi.

Basso, vecchio e curioso.

Amo il mio lavoro perché…

È pensare e fare quello che non c’è, il comunque possibile o forse perché è soltanto un altro modo di raccontare.

L’ultima volta che ho pianto.

Ieri, pensando a un amico che non c’è più. Credo che piangere faccia bene, che ci aiuti quanto il ridere o l’urlare, per le emozioni non bastano solo le parole.

L’oggetto a cui sono più legato.

È un cavalletto, pesante, professionale, l’ho ancora in studio, un regalo di mio padre ai miei vent’anni. Non aveva molti soldi mio padre e sicuramente l’aveva pagato tanto, mi disse “Ricordati sempre chi vorresti essere.”

La mia maggiore paura.

Dimenticarmi le parole di mio padre.

KULTI MUNDI

Nee giorni scorsi in piazza Rauzi, nel quartiere Don Bosco, la festa multiculturale KULTI MUNDI organizzata dalle associazioni bolzanine assieme a “La Strada – Der Weg”, ha celebrato la diversità con piatti da tutto il mondo. Tra questi couscous marocchino, byreck albanese, halwa dal Kurdistan, e molto. Musica e danze hanno animato l’evento, mentre laboratori di scrittura cinese e di hennè indiano hanno coinvolto tutti. Si è trattato di un’occasione imperdibile per gustare e apprezzare la bellezza delle diverse culture. Attraverso gli scatti di Niccolò Dametto riviviamo l’evento.

Studenti e politica

Personalmente sono rimasto molto colpito quando lunedì scorso, con un comunicato stampa bilingue, la sede bolzanina degli studenti universitari sudtirolesi/altoatesini ha chiesto a unibz “maggiore apertura riguardo agli eventi politici” all’interno dell’ateneo. “Finora, l’Università ha adottato la linea di non permettere iniziative come dibattiti pubblici su temi controversi, come le Olimpiadi 2026 o altri argomenti simili. Per noi è incomprensibile, poiché nelle sedi universitarie delle nostre delegazioni esterne sentiamo regolarmente parlare di eventi socio-politici, veniamo invitati a partecipare – ad esempio da organizzazioni partner come l’Österreichische HochschülerInnenschaft – e soprattutto organizziamo noi stessi tali eventi”, ha sottolineato Alexander von Walther, presidente della sh.asus. “Comprendiamo ovviamente che l’Università, come istituzione pubblica, non possa ospitare eventi di partiti politici o organizzazioni tendenziose. Anche noi come associazione non lo vogliamo”, ha aggiunto la sh.asus nel suo comunicato. Mentre la giovane vicepresidente della sh.asus Magdalena Scherer dal canto suo ha ricordato che “a Innsbruck, lo scorso anno, la sede esterna dell’associazione studentesca ha organizzato un dibattito pubblico sulle elezioni provinciali che ha ricevuto riscontri molto positivi, con l’aula più grande dell’Università strapiena, oltre 400 studentesse e studenti interessati tra il pubblico e più di 100 collegati in streaming”. “A Bolzano, una cosa del genere non sarebbe stata possibile”, ha aggiunto.
L’associazione degli studenti universitari ha ricordato che per i loro colleghi austriaci si tratta di prassi consolidate e che l’organizzazione di tali eventi è addirittura considerata “un obbligo”.
“Anche noi vediamo come nostro compito promuovere l’educazione politica tra i giovani – concretamente tra le studentesse e gli studenti nelle nostre delegazioni esterne – e per questo riceviamo, tra le altre cose, contributi provinciali”, hanno concluso presidente e vicepresidente di sh.asus che, lo ricordiamo, non sono estremisti e agitatori politici.
In provincia di Bolzano abbiamo un grande bisogno di giovani consapevoli e attivi per quanto riguarda tutto quello che riguarda la gestione cosa pubblica, anche nell’ottica di avere in futuro una classe politica migliore di quella attuale. Spero dunque che tali divieti vengano meno al più presto possibile, nell’interesse di tutta la nostra comunità locale.

Autore: Luca Sticcotti