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I cognomi della discordia
I rapporti tra Sudtirolesi e governi italiani si distinguono per un’ambiguità di fondo che impedisce il superamento del trauma originario dell’annessione del 1920. Perfino ora che l’amministrazione locale ha abbracciato la causa della destra italiana, sono sufficienti episodi anche minimi (per esempio in ambito scolastico) per riaccendere nella società dispute ataviche dai toni e dai contenuti d’altre epoche.
A tal proposito, il regime fascista adottò metodi perentori e violenti per regolamentare la convivenza e affermare l’italianità di questo territorio. Seguendo le linee guida tracciate da Ettore Tolomei nei “Provvedimenti per l’Alto Adige”, i fascisti emanarono leggi “speciali” come quelle sulla toponomastica, sui programmi didattici, sull’obbligo dell’uso della lingua italiana negli uffici pubblici, sulla lingua d’insegnamento e, perfino, sulla “Restituzione in forma italiana dei cognomi delle famiglie della Provincia di Trento”.
È di quest’ultima “perla” che vogliamo occuparci in questa sede. Non tragga in inganno l’indicazione “Provincia di Trento”: nel 1922 tutta la Bassa Atesina fu accorpata alla Provincia di Trento per “favorire” l’italianizzazione del territorio “mistilingue”. Con regio decreto-legge del 10 gennaio 1926, n. 17, entrato in vigore il 30 gennaio e poi convertito con legge n. 898 del 24 maggio 1926, si impose ipso facto la restituzione (mai reclamata da nessuno!) in forma italiana dei cognomi delle famiglie della provincia di Trento. “Vittorio Emanuele III, per GRAZIA E PER VOLONTA’ DELLA NAZIONE (il termine “nazione” ultimamente è ritornato di moda), sentito il Consiglio dei Ministri, sulla proposta del Guardasigilli Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari di culto…. abbiamo decretato e decretiamo: Le famiglie della provincia di Trento (Bassa Atesina N.d.R.) che portano un cognome originario italiano o latino tradotto in altre lingue o deformato con grafia straniera, o con l’aggiunta di un suffisso straniero, riassumeranno il cognome originario nelle forme originarie. Saranno egualmente ricondotti alla forma italiana i cognomi di origine toponomastica, derivanti da luoghi, i cui nomi erano stati tradotti in altra lingua, o deformati con grafia straniera, e altresì i predicati nobiliari tradotti o ridotti in forma straniera. Chiunque, dopo la restituzione avvenuta, fa uso del nome o del predicato nobiliare nella forma straniera, è punito con la multa da L. 500 a L. 5000.”
Non serve chissà quale ingegno per comprendere la portata di siffatto tragico – e per certi versi grottesco – provvedimento. I “portatori” di cognome straniero di “antiche origini latine” si videro notificato un provvedimento che trasformò e, il più della volte, storpiò il loro nome di famiglia. Il più classico degli esempi è il fantasioso Rabensteiner – Pietracorvo, la cui antica romanità sta tutta nel colore dell’uccello…
In concreto, i cognomi modificati furono moltissimi e qui ne elenchiamo alcuni riguardanti cittadini della Bassa Atesina: passi per la “i” aggiunta a Peterlin e Abram, ma trasformare Pichler e Kofler in Collini e Colli, Perpmer in Marini, Geier in Girardi, Spitaler in Serri, Floess in Vallesi, Fulterer in Fulteri, Gamper in Campi, Heissl in Casali, Ossinger in Ossini, Bonecher in Bonetti, Stuppner in Stuneri, Schraffl in Dalle Torri, Visintainer in Visentini, Baumgartner (cognome tipicamente latino) in Fiore, Moedlhammer in Martelli, Cont in Conti, Coser in Coseri, Moser in Moseri, Pirhofer in Perrone, Rohregger in Rovere, Plank in Bianchi, Gasser in Dallavia, Heuschreck in Mattei, Kalser in Colli, Schachner in Dalmonte, Ortler in Ortelli, Petermair in Pietromanio e, mistero toponomastico, Meraner in Cristoforetti – tutto ciò rappresenta semplicemente la follia di un regime dittatoriale come quello del ventennio fascista.
A tutti costoro e a molti altri cittadini il Prefetto Karl Tinzl restituì il cognome originario con decreto del 16 marzo 1945, cancellando di fatto una vergogna di dimensioni epocale.
Autore: Reinhard Christanell
Tombola e coccole per la festa dei nonni
Per la giornata del 2 ottobre, anche quest’anno l’oratorio Santiago ha dedicato una giornata a tutti i nonni, tra racconti, giochi e tante coccole.
Sono la colonna portante della famiglia, ancor più oggi rispetto a un tempo, visto che i genitori sono stretti tra le necessità dei figli e quella di portare a casa due stipendi. Veri serbatoi di esperienza, saggezza, racconti e memoria, sono i nonni a venire in soccorso. E ai nonni il 2 ottobre – in occasione del ricordo liturgico degli angeli custodi nel calendario dei Santi cattolico, oltre che come festa istituita come ricorrenza civile con la legge n. 159 del 31 luglio 2005 – si dedica loro una giornata speciale. Anche quest’anno l’Oratorio Santiago di San Giacomo ha voluto proporre un pomeriggio – il successivo 3 ottobre – dedicato a loro e al loro rapporto con i nipoti e più in generale coi bambini. Appuntamento quindi presso la sala grande dell’oratorio, dove si sono ritrovati molti nonni del paese in compagnia dei loro nipoti e non solo. Anche per questa occasione è stato scelto un tema della giornata: mentre nel 2023 il tema è stato quello dei giochi di una volta, l’attenzione di quest’anno si è invece concentrata sulla scuola dei nostri nonni, tanto diversa da quella frequentata oggi dai nipoti. Moltissimi quindi sono stati gli aneddoti usciti dalla memoria dei nonni presenti, che hanno incuriosito e affascinato i bambini, in particolare i racconti di Nonna Pierina, che ha fatto rivivere nella fantasia dei bimbi presenti il ricordo della scuola di San Giacomo ai suoi tempi. Un racconto quanto mai attuale, in vista della consegna del nuovo edificio scolastico, con quello abbattuto che rimarrà ormai nella memoria di chi – appunto – lo ha vissuto nella propria infanzia. I bimbi hanno potuto anche toccare con mano questa scuola del passato, grazie al tavolo allestito con alcuni oggetti tanto familiari ai loro nonni. Durante la giornata, accompagnata dai volontari dell’Oratorio e da Don Walther, un momento che non poteva mancare e che ha appassionato grandi e piccoli, coi nipotini a dare supporto attivo ai nonni, è stata la consueta tombolata. Quindi massima concentrazione ai tavoli per non farsi scappare neppure un numero, ma il “premio” finale non è andato solo a qualcuno; dopo una bella merenda ancora condita dai racconti dei nonni, ognuno dei presenti ha infatti ricevuto la “marmellata di coccole”, un barattolo tutto fatto a mano dai bambini durante i laboratori pomeridiani, utilizzando thè, caramelle e teneri bigliettini, per addolcire anche le giornate meno belle dei nostri nonnetti.
La ricorrenza come altre spesso si tramuta in occasione commerciale, am invece all’Oratorio Santiago è sentita profondamentre come un modo per celebrare l’importanza dei nostri anziani, stretti in un mondo che corre alla velocità della luce rispetto ai loro ricordi ma che, proprio per questo, rende la loro presenza ancor più indispensabile per figli, nipoti e per la società tutta. Appuntamento quindi, sicuramente, al prossimo anno per continuare a celebrare la festa dei nonni.
Autrice: Raffaella Trimarchi
Dopo la stazione ferroviaria arrivano le nuove strutture alberghiere
Dopo l’apertura della linea ferroviaria del Brennero e i due soggiorni dell’imperatrice Elisabetta d’Austria dall’ottobre del 1870 alla fine di maggio dell’anno seguente e dalla metà di ottobre del 1871 fino a tutto dicembre dello stesso anno, la clientela più elegante e snob individuò in Merano uno dei luoghi per le proprie vacanze di cura proprio come era successo a Bad Ischl, a Bad Kissingen, a Madera o a Corfù, in ogni luogo insomma dove Sua Maestà era stata vista. Pressante diventò quindi la necessità di costruire alberghi di lusso provvisti di ogni genere di comfort.
L’afflusso turistico crescente necessitava anche di una adeguata rete di alberghi, pensioni e camere in affitto. Queste ultime furono in breve tempo messe a disposizione dai privati offrendo le prime possibilità di pernottamento e soggiorno sotto i Portici, nel quartiere di Steinach e in via delle Corse, nonché nei piccoli villaggi limitrofi di Maia Alta e Maia Bassa.
In piazza della Rena esisteva la locanda Zur Goldener Rose, provvista di 13 stanze e considerata il migliore alloggio in città. Nella seconda metà dell’Ottocento fu ribattezzata Erzherzog Johann, in onore dell’arciduca Giovanni d’Austria. Tra il 1869 e il 1870, quando fu abbattuto un tratto delle mura cittadine, l’albergo fu ampliato al punto da disporre di ben cento camere, per giungere a centotrenta solo tre anni dopo. In questo ulteriore ampliamento, al primo piano, si era previsto lo spazio per una sala di lettura e una sala da gioco e da conversazione. L’albergo disponeva anche di un ristorante-giardino, allestito nel 1877, che era stato impreziosito da un gran numero di piante esotiche, e che sovente ospitava i concerti dell’Azienda di cura. Un ulteriore intervento di ampliamento, questa volta in altezza con l’aggiunta del quinto e del sesto piano, affidato allo studio di architettura Musch e Lun nel 1898, aveva condotto ad una capienza di centocinquanta camere. In questa occasione la facciata fu abbellita con eleganti frontoni neobarocchi.
Apparteneva invece ad Hans Fuchs l’Habsburgerhof, l’attuale Hotel Bellevue, inaugurato nel 1883. Affacciato sulla piazza ellissoidale della stazione ferroviaria di Merano, l’attuale piazza Mazzini. Si dipanava su tre piani e aveva una capienza di sessanta camere e di altre ventiquattro nella dependance sul retro. Anche in questo caso l’ideazione e la costruzione era stata affidata allo studio Musch e Lun che era riuscito a dotare l’albergo di tutti i comfort. Sempre affacciato sulla Habsburgerstrasse, la via principale che univa il centro storico alla stazione ferroviaria, era il Tirolerhof. Un edificio a cinque piani, con cinquanta camere, di proprietà del signor Auffinger. Il sistema di balconi a logge rivolti verso sud consentivano l’esposizione all’aria aperta al riparo però dai venti venostani, particolare non trascurabile per tutta la schiera di turisti di cura sofferenti di affezioni polmonari che tanto numerosi affollavano Merano.
Faceva angolo con la Habsburgerstrasse e la via delle Corse l’Hotel Europa, in posizione assai favorevole per la clientela poiché a metà strada tra la stazione ferroviaria e la zona del passeggio, delle cure e dello svago. Costruito nei primi anni Novanta, apparteneva ad Anton Ladurner. Più vicino alla stazione sorgeva il Kaiserhof di proprietà di A. Ellmenreich. Prestigioso edificio, era ripartito in corpo centrale e due lunghe ali affacciate rispettivamente sulla Habsburgerstrasse e sul piazzale della stazione ferroviaria.
Non lontano dalla stazione ma già sulla Stefanie Promenade, a partire dal 1890, sorgeva Pension Euchta, una costruzione a tre piani e una disponibilità di ventotto camere. Sarà notevolmente ampliata nel 1905 e prenderà il nome di Savoy Hotel.
Autrice: Rosanna Pruccoli
Scherma: la magia della spada e della strategia
La scherma, uno degli sport più eleganti e antichi, ha trovato una sua dimensione anche a Bolzano, a partire dal1984, dove la passione per questa disciplina si è radicata nel corso degli anni. Con le sue radici storiche che affondano nel medioevo, la scherma è diventata non solo uno sport, ma anche un’arte marziale che promuove disciplina, rispetto e abilità tecnica.
Uno dei principali club di scherma a Bolzano è il Club Scherma Bolzano, che offre corsi per tutte le età, dai bambini agli adulti. Le lezioni sono tenute da istruttori qualificati, che trasmettono non solo le tecniche di base, ma anche i valori fondamentali della scherma: rispetto, onore e determinazione.
I membri del club hanno l’opportunità di partecipare a competizioni regionali e nazionali, sviluppando così le loro capacità e vivendo l’emozione delle sfide. Fondato da un gruppo di ex atleti in cerca di un nuovo inizio dopo la chiusura del Circolo Scherma Bolzano, il Club celebra quest’anno il suo quarantesimo anniversario. In questo lungo periodo, l’associazione ha mantenuto una costante attività, raggiungendo traguardi notevoli sia nel settore agonistico che nell’organizzazione di eventi di rilevanza nazionale e internazionale.
“In questi quarant’anni, il club ha vissuto numerosi eventi memorabili, con storie che meritano di essere raccontate. Un aspetto particolare della scherma però è il legame che si crea tra Maestri e allievi. Il combattimento richiede un’affinità speciale, che si sviluppa attraverso un intenso lavoro di squadra” afferma Salvatore Lauria, fondatore del Club e maestro a quinto livello del Bolzano. Grazie all’ impegno organizzativo del sodalizio, Bolzano ha ospitato in questi anni Campionati Europei Assoluti, gare di coppa del mondo e con cadenza annuale gare nazionali che hanno attirato nella città moltissimi atleti e accompagnatori. I risultati agonistici hanno sempre premiato Il Club che negli anni ha visto primeggiare i suoi atleti sia a livello regionale che nazionale.
Tra i talenti attuali, Lisa Pichler è stata convocata per gli allenamenti della Nazionale Under 20, partecipando regolarmente a gare internazionali. Tra gli Under 14, Vittoria Gabellini è la campionessa interregionale, mentre Nicolò Izzo e Caterina Lauria hanno ottenuto piazzamenti lusinghieri ai Campionati Italiani. Inoltre, Gabriel Panozzo ha trionfato nella prova Gold interregionale per Cadetti. Attualmente, il club allena circa 60 atleti, tra ragazzi, ragazze e adulti, impegnati in attività sia agonistiche che ludiche. Praticare la scherma offre diversi vantaggi, come il miglioramento della coordinazione, della forza e della resistenza. Questo sport richiede concentrazione e strategia, stimolando la mente e favorendo la disciplina. Inoltre, promuove la socializzazione e crea un forte senso di comunità tra i membri del club. La scherma insegna ai giovani a risolvere rapidamente problemi tattici e tecnici, sviluppando le loro capacità cognitive. Gli atleti imparano a gestire i propri impulsi e a leggere i movimenti dell’avversario, arricchendo così sia il corpo che la mente.
Per chi desidera avvicinarsi a questo affascinante sport, è possibile trovare ulteriori informazioni sulle pagine social del Club o contattare Salvatore al numero 335 205 556. Gli allenamenti si svolgono nella palestra di via Resia presso il Palasport di Bolzano dal lunedì al venerdì.
Autore: Niccolò Dametto
Aubet Cubet Quere: la chiesa parrocchiale di San Giacomo a Maranza
È il fascino delle tradizioni, la sacralità delle processioni e la leggenda di tre vergini dai nomi esotici, Aubet, Cubet e Quere, a portarci a 1410 metri su un altipiano panoramico affacciato sulla val Pusteria ove sorge la chiesa di San Giacomo di Maranza. L’edificio, riconsacrato nel 1780, poggia su una preesistente chiesa medievale ed è il risultato dell’ingrandimento della chiesa tardogotica consacrata nel 1472. È a pianta longitudinale e a navata unica.
Già i pellegrini e i viaggiatori del passato vi facevano meta e le loro firme, graffiate sull’intonaco dell’imponente san Cristoforo affrescato sulla parete meridionale del campanile, ne sono vivida testimonianza. L’affresco, che risale alla fine del XV secolo, presenta un’iconografia particolarmente interessante: l’uomo di Cananea, Cristoforo, appare «gigantesco e terribile in volto», proprio come riporta la Legenda Aurea; si muove lento sotto il pesante fardello: «sulle tue spalle tutto il mondo e il suo creatore», appoggiandosi con forza al suo bastone, mentre le acque si ingrossano sempre più. All’estremità del bastone sono visibili le radici che preludono alla prova che Gesù volle dare di sé a Cristoforo: «Per convincerti che io ti ho detto il vero, pianta il tuo bastone davanti alla tua capanna e domani vedrai che avrà fatto fiori e frutti». Il mantello scarlatto al vento ne ingrandisce ulteriormente la figura; la veste è raccolta in vita da una cintura dalla quale pendono, come per i pellegrini, una bisaccia contenente una bella pagnotta e un coltello. Le gambe massicce del santo affondano nelle acque gremite di strane creature marine con corpi di pesce e volti umani, oppure di pesci dalla conformazione fisica più stravagante. Fra tutti spicca la bella sirenetta dalla raffinata testolina coronata, simbolo però del male e della malizia sessuale, e quella del mostro marino dal volto aguzzo e barbuto con lo sguardo furbetto e la dentatura feroce.
Ma c’è dell’altro. Sul fondo dell’affresco fra le numerose firme e date spicca quella di un certo: Luzio Pacinelli da Bergamo 1596. Chi era? E dove era diretto? Infine è da notare che al posto dell’alluce del santo ora è ben visibile un buco dovuto al secolare grattare delle donne gravide che, secondo la credenza locale, da quei granelli di malta “sacra” avrebbero tratto la forza necessaria al parto.
All’interno della chiesa l’occhio è rapito dalla ridondanza delle forme rococò ideate, nella seconda metà del XVIII secolo, dall’architetto enipontano Josef Abenthung, dai ricchi decori a stucco, dai vistosi altari policromi e dagli eleganti affreschi delle cupole, opera del pittore Johann Mitterwurzer.
Ma è all’altare di destra, alle tre statue lignee di Aubet, Cubet e Quere, che volgiamo l’attenzione. Delle tre Vergini di Maranza si narra che siano vissute al tempo in cui Attila, re degli Unni, che metteva a ferro e fuoco tutta Europa distruggendo tutto ciò che incontrava e ammazzando tutti coloro che non si piegavano al suo volere. Da secoli le tre martiri sono oggetto di venerazione, il loro culto, forse in qualche misura collegato con quello di divinità femminili pagane di origine celtica, si diffuse soprattutto nelle terre germanofone. La prima menzione della devozione per le tre Vergini a Maranza risale al 1382 e, per quanto attiene ai pellegrinaggi, esiste un’indulgenza pontificia datata 30 marzo 1500.
L’intreccio tra la storia della città e il secolo del “Carducci”
Venerdì 18 ottobre il liceo “Giosuè Carducci” di Bolzano festeggia il suo centenario con un’intensa giornata di incontri, testimonianze, eventi teatrali e musicali. Viene anche inaugurata una mostra storica che ripercorre le vicende di questo liceo, strettamente intrecciate a quelle della nostra comunità cittadina. Ne parliamo con il curatore, lo storico Carlo Romeo, che ha conosciuto il “Carducci” prima come studente e poi, da oltre un trentennio, come docente.
Cent’anni sono un traguardo importante per una scuola italiana nella nostra provincia…
Insieme all’istituto tecnico “Battisti”, il “Carducci” è la più antica scuola secondaria in lingua italiana nata a Bolzano. Sono nati insieme, nel 1919, condividendo la stessa unica aula e, per le materie comuni, gli stessi insegnanti. Infatti, anche se l’istituzione del “Regio Liceo” è del 1924, il ginnasio, le cui prime tre classi corrispondevano alle attuali scuole medie, nasce subito dopo l’annessione dell’Alto Adige al Regno d’Italia.
Qual era il contesto in cui è nato il “Carducci” nel 1924?
Negli anni Venti è un piccolo liceo potremmo dire “di confine”. In quel periodo il regime fascista inaugura una politica di italianizzazione e vengono chiuse le scuole tedesche. Per questo tra i suoi diplomati troviamo fino al 1943 molti alunni di lingua tedesca. I numeri crescono nella seconda metà degli anni Trenta di pari passo con il rapido incremento della popolazione di Bolzano. Dal punto di vista sociale, le famiglie degli alunni sono più varie di quello che generalmente si pensa; non solo la borghesia medio-alta, ma anche le categorie dei piccoli impiegati, commercianti, tecnici etc. Del resto, all’epoca, il diploma di maturità classica era l’unico che consentiva l’accesso a tutte le facoltà universitarie.
Quali le principali novità nel secondo dopoguerra?
La storia di una scuola riflette tutte le metamorfosi della società e ciò vale anche per il “Carducci”. Per fare un esempio, dagli anni ‘60 cresce il numero delle alunne che supererà presto quello dei maschi e le classi sono finalmente “miste”. Gli studenti ottengono o si prendono nuovi spazi (assemblee, giornalini scolastici) e nel 1969 e 1977 ci sono due occupazioni. Ovviamente anche sul piano dell’offerta didattica si susseguono nei decenni radicali novità. Ad esempio, un momento importante è il 1994 con la nascita dell’indirizzo linguistico, che ha subito molto riscontro. Oggi il liceo è “classico e linguistico”.
La storia di una scuola è anche storia delle sue sedi, che rimangono nella memoria di chi le ha frequentate.
La sede “storica” è stata in Piazza Domenicani dal 1924 al 1972, anno in cui il liceo si trasferì nel nuovo edificio di Via Manci. Nel 2010 esso fu abbattuto per essere ricostruito ex novo, non prima però che centinaia di ex carducciani si ritrovassero per ripercorrere insieme i corridoi, le aule, i luoghi impressi nella memoria.
Ci sono figure di presidi o docenti di particolare riferimento per la storia del liceo?
Così tanti che è impossibile qui selezionarne alcuni. Per fare qualche nome tra i presidi, Carlo Busato ha retto il liceo in tempi difficili (guerra e dopoguerra), Claudio Nolet ha il record della presidenza più lunga (quasi un ventennio), Vito Mastrolia ha guidato la nascita dell’indirizzo linguistico. Tra i docenti, uno per tutti: Francesco Moggio, il cui originale stile di insegnare i classici greci e latini (dal 1938 al 1974) ha appassionato generazioni di studenti. A lui è intitolata la biblioteca del liceo.
Autore: Luca Sticcotti
Sport e Inclusione: un’iniziativa unica al KIMM di Cardano
Il 23 settembre, il centro diurno KIMM di Cardano ha ospitato un evento straordinario, unendo atleti di alto livello e persone con disabilità in un’esperienza di inclusione e creatività. Questo progetto, parte del programma “Great Season” della Südtiroler Sporthilfe, ha visto la partecipazione di noti sportivi dell’Alto Adige, tra cui la biatleta Federica Sanfilippo e la saltatrice con l’asta Nathalie Kofler, insieme a utenti del centro, impegnati in attività artistiche e sportive.
La mattinata è stata ricca di emozioni: da un lato, gli utenti hanno avuto l’opportunità di esprimersi attraverso la pittura, creando due opere dedicate agli anelli olimpici, simbolo di unità e diversità. Dall’altro, hanno potuto divertirsi in palestra, praticando attività come bowling e slittino indoor, sempre sotto la supervisione di esperti.
“È stato emozionante vedere quanto si divertano e come riescano a esprimere la loro creatività,” ha commentato Nathalie Kofler, evidenziando l’importanza di queste interazioni. Le opere realizzate saranno successivamente messe all’asta, con il ricavato destinato a un’associazione benefica che supporta le persone con disabilità.
Questo incontro rappresenta molto più di una semplice giornata di attività: è un passo significativo verso l’inclusione. Gli utenti del centro, affetti da sindrome di Down, disturbi dello spettro autistico e patologie psichiche, hanno dimostrato che, grazie al supporto e alla sensibilità degli sportivi, possono vivere momenti di gioia e realizzazione. L’ansia iniziale che alcuni di loro hanno provato è stata superata dall’accoglienza e dalla disponibilità degli atleti, creando un ambiente di fiducia e rispetto reciproco.
Il programma “Great Season” mira non solo a formare sportivi di alto livello, ma anche a farli diventare ambasciatori di responsabilità sociale. Attraverso queste iniziative, gli atleti possono applicare le competenze di resilienza e leadership acquisite nello sport anche nel contesto sociale, contribuendo a sensibilizzare la comunità sulle tematiche legate alla disabilità.
L’evento al centro diurno KIMM ha dimostrato quanto siano significative le piccole cose nella vita. Gli atleti hanno raccontato di come l’interazione con le persone del centro abbia arricchito la loro esperienza, offrendogli nuove prospettive. “Ciò che può sembrare semplice per noi è in realtà molto importante per loro,” ha affermato Kofler, sottolineando l’importanza di momenti come questi nel promuovere una società più inclusiva.
In conclusione, l’incontro tra sport e arte al KIMM non è solo un esempio di come sia possibile unire mondi apparentemente distanti, ma rappresenta anche un modello di inclusione e solidarietà, essenziale per costruire un futuro in cui tutti possano sentirsi parte integrante della comunità.
Autore: Niccolò Dametto
Superpotere pazienza
Qui Intervista a Oswald Stimpfl, classe ‘46, nato a San Genesio dove i genitori si sono trasferiti nel periodo della guerra, ed è cresciuto a Bolzano. Escursionista (ancora) instancabile, percorre in lungo e in largo – a piedi, in bici, con gli sci e le pelli di foca, con le racchette da neve – l’Alto Adige e le province limitrofe. Nelle sue guide – ne ha scritte una cinquantina – vuole rendere partecipi i lettori delle sue esperienze, che abbracciano gastronomia, vino, arte, cultura ed escursionismo.
La cosa di me che mi piace di più.
La curiosità.
Il mio momento più felice.
Se la felicità è la somma dei momenti belli, io li sto ancora sommando.
Da bambino sognavo di diventare…
Maestro come mio padre.
La mia occupazione preferita.
Studiare le mappe per pianificare viaggi e gite. E poi sfogliare e leggere libri di storia,
Il luogo dove vorrei vivere.
Sto bene San Genesio presso Bolzano, è il posto migliore per me.
Il mio piatto preferito.
Sono un appassionato di dolci: tiramisù.
Non sopporto…
Le critiche inguistificate.
Per un giorno vorresti essere…
Una donna, forse così potrei capirle meglio.
Nel mio frigorifero non manca mai…
Il vino rosso locale schiava, mi piace berlo fresco.
Se fossi un animale sarei…
Un rapace, per planare e osservare il mondo dall’alto.
Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…
Quando ho tenuto tra le mani il primo libro che ho scritto.
Dove mi vedo fra dieci anni.
Vista la mia età, penso in periodi di tempo più brevi.
L’ultima volta che ho perso la calma.
Non voglio ricordarmelo, lo reprimo.
Tre aggettivi per definirmi.
Irrequieto, curioso, socievole.
La prima cosa che faccio al mattino.
Accendere la radio.
Il mio film preferito.
A perfect day di Wenders.
Il superpotere che vorrei avere.
La pazienza.
Il mio sogno ricorrente.
Sto guidando la macchina in discesa e i freni non funzionano.
Il mio ultimo acquisto.
Un’auto elettrica.
Cosa apprezzo di più del luogo in cui vivo?
Il panorama, la vicinanza alla città, i vicini simpatici.
L’errore che non rifarei.
Vendere la Bianchina Cabriolet d’epoca.
La grande danza e il teatro nella proposta di spettacolo in regione
INSERZIONE PUBBLICITARIA – La proposta del Circuito Danza del Trentino-Alto Adige curato dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento approda anche quest’anno in Alto Adige con un denso calendario di appuntamenti che partirà da Bolzano, tra il Teatro Cristallo e il Teatro Comunale, arrivando a toccare anche i comuni di Bressanone, Merano e Vipiteno.
Particolarmente ricca la proposta al Teatro Comunale di Bolzano, che vedrà in scena la Compagnia Zappalà Danza Après-midi d’un faune| Bolero| Le Sacre du printemps (12 novembre), la trilogia dell’estasi firmata da Roberto Zappalà, mentre il 22 novembre toccherà al Balletto di Milano con il Gran Gala del Balletto, un viaggio nel mondo della danza che spazia dai grandi classici al repertorio neoclassico della compagnia. A seguire, il 24 novembre (Teatro Studio-Teatro Comunale), spazio alla Compagnia Abbondanza/Bertoni, una tra le realtà più prolifiche del panorama italiano, con lo spettacolo Viro, mentre dal 28 novembre all’1 dicembre arriverà a Bolzano la Compagnia Opus Ballet con Sogno di una notte di mezza estate, una produzione che celebra William Shakespeare, racchiudendo musica classica, drammaturgia e danza contemporanea. Il 4 gennaio salirà sul palco del Comunale il Russian Classical Ballet con un classico del balletto come il Lago dei cigni (con le coreografie di Marius Petipa), che lascerà successivamente spazio a Silvia Gribaudi e alla MM Contemporary Dance Company e al loro Grand Jetè (18 gennaio), un progetto coreografico che esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Il 25 febbraio andrà in scena C’era una volta Cenerentola, una delle produzioni di maggior successo firmate dal Balletto di Roma (con la coreografia di Fabrizio Monteverde), mentre il mese di marzo vedrà infine protagonista il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest con il celebre balletto Romeo e Giulietta nella versione firmata da Renato Zanella (4 marzo). Ultimo appuntamento al Teatro Comunale, dal 27 al 30 marzo, con Assembly Hall, il nuovo lavoro di teatro-danza della compagnia canadese Kidd Pivot che esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività. E al Teatro Comunale di Gries, il 14 febbraio, ci sarà spazio anche per il lavoro del Balletto Civile dal titolo Davidson, liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo Pasolini.
Dopo il successo della scorsa stagione, il Teatro Cristallo di Bolzano sarà grande protagonista anche quest’anno con titoli e coreografi di assoluto prestigio: ci sarà la Compagnia Naturalis Labor con una serata dedicata al celebre ballo argentino dal titolo Tango Gala (4 dicembre), il Balletto di Siena con un classico natalizio senza tempo come Lo Schiaccianoci (23 dicembre), RBR Gli illusionisti della Danza con lo spettacolo volto a sensibilizzare il rispetto per l’ambiente e incentrato sull’acqua H₂OMIX (19 febbraio), oltre a Solo Goldberg Variations, manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni (14 marzo), e a Amour, acide et noix il 19 marzo, spettacolo firmato dal coreografo canadese Daniel Léveillé che parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tocco, della durezza della vita e del desiderio d evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.
Ma la programmazione del Centro in Alto Adige non si limita a Bolzano e andrà a toccare i comuni di Bressanone, Vipiteno e Merano, con tre compagnie di caratura internazionale: la Evolution Dance Theater con Blu Infinito, la MM Contemporary Dance Company con Ballade, e il Balletto di Siena con The great pas de deux.
La Stagione Regionale Contemporanea
Un’unica Stagione tra Bolzano e Trento
Parallela alla tradizionale stagione, si snoda da novembre a marzo la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione tra il Centro S. Chiara e il Teatro Stabile di Bolzano, con un ricco cartellone di spettacoli tra Trento e Bolzano.
Tra i protagonisti in Stagione quest’anno è possibile trovare la compagnia ravennate ErosAntEros, Babilonia Teatri (vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016), la Compagnia Abbondanza/Bertoni, i coreografi canadesi Clara Furey e Daniel Léveillé, i promettenti artisti italiani Leonardo Manzan e Rocco Placidi, la Compagnia Kepler- 452, i coreografi Aurora Bauzà e Pere Jou, e l’Ensemble Azione_Improvvisa, protagonista del debutto di “Nova Selva Sonora”, progetto che si avvale delle musiche di Mauro Lanza, Andrea Valle e Daniela Fantechi.
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