Spartan race: tra fango e sudore sul tetto del mondo


La Spartan Race è una gara ad ostacoli estrema, nata in America da un gruppo di ex militari nel 2010 e diffusa in tutto il mondo successivamente. L’idea di base è quella di simulare i percorsi di guerra a cui si sottopongono i militari durante l’addestramento. La gara prevede ripide arrampicate, corse con pesi, rotolamenti nel fango, lancio del giavellotto, passaggi sotto il filo spinato, superamento di energumeni che ti ostacolano con mezzi di respingimento, e tanti altri ostacoli. In Alto Adige abbiamo uno degli atleti più forti degli ultimi tempi, vicecampione europeo nel 2021, campione europeo nel 2023 e campione del mondo nel 2024. Il suo nome è Luca Pescollderungg. Oggi andiamo a conoscerlo meglio e a farci raccontare di più su questo sport.

Ciao Luca, da dove vieni e quali sono le tue passioni… 

Mi chiamo Luca Pescollderungg ho trentatré anni e vengo da La Villa in Alta Badia. Abitando nel mezzo delle Dolomiti mi piace molto praticare sport outdoor, mi piace correre in montagna e andare in bici da corsa, ogni tanto vado arrampicare e pratico le Spartan che sono lo sport dove ho iniziato a competere e ho avuto ottimi risultati.

Come ti sei avvicinato al mondo delle Spartan?

Un giorno un mio amico mi ha parlato di questo sport che veniva dall’America: la Spartan Race. Devo ammettere che mi ha incuriosito molto, sono andato a casa, ho aperto il loro sito per informarmi un po’ meglio e mi sono iscritto alla mia prima gara. Settembre 2016, ero già sulla linea di partenza per la mia prima gara di Spartan a Kitzbuhel, in Austria. Mi sono iscritto nella categoria non competitiva, da lì mi sono subito innamorato di questo sport.

Come funziona una gara Spartan?

Le Spartan sono gare di OCR (Obstacle Course Race) dunque sul tragitto corri e trovi degli ostacoli naturali o artificiali che devi superare. Quelli naturali possono essere per esempio dei fiumi da guadare o degli alberi da oltrepassare. Gli ostacoli artificiali invece sono delle strutture che vengono appositamente montate e devi riuscire a passarle senza cascare; se caschi ci sono i giri di penalità che consistono in giri in cui ti fanno trasportare una catena molto pesante oppure un sacco di sabbia o un grande sasso.

Nelle foto in gara sei sempre molto sporco… 

Di fango ne trovi! Le prime gare Spartan erano più sporche, lì veramente ci facevano sporcare tantissimo, adesso lo sport si è un po’ evoluto ed è diventato più professionale. 

Quante volte a settimana ti alleni?

Mi alleno tutti i giorni circa due/tre ore al giorno. Purtroppo, non sono un atleta professionista, sono campione del mondo ma non ho mai avuto la fortuna come altri atleti che vengono da altri Sport di avere grossi sponsor che ti permettono una sicurezza economica e di poterti concentrare unicamente nello sport che ami. Lo faccio solo per passione e per me un vantaggio perché sono lì sulla linea di partenza che guardo gli atleti professionisti o che fanno solo un lavoro part-time e mi dico che non ho nulla da perdere, sono solo loro che devono temere di me. 

Che allenamenti fai?

I miei allenamenti consistono per lo più in sessioni di corsa, mi alleno molto correndo in montagna in più faccio degli esercizi di grip (come quelli che fanno gli arrampicatori), faccio trazioni e molti esercizi concentrati sulla forza.

Consiglieresti ad un ragazzo di iniziare a praticare questo sport?

Spero che prima o poi tanti giovani inizino a fare questo sport perché è veramente uno sport bellissimo dove devi essere un atleta completo, durante le Spartan serve molta forza e soprattutto tanta testa perché non sai mai quanto è dura, ci sono i trasporti che fanno da variabile, non sai mai quanto peso ti caricano né quanto sono lunghi. Il bello è anche questo, mentalmente non riesci proprio a fare una strategia, non è così prevedibile come tenere il ritmo per quarantadue chilometri.

Autore: Niccolò Dametto

In visita all’ospizio di San Floriano a Laghetti di Egna


Da sempre il viaggio era fonte di insidie e preoccupazioni: oltre al problema della condizione delle strade, il viaggiatore si interrogava quotidianamente sul dove e come superare la notte ma soprattutto sul come sarebbe stato accolto come forestiero. Nell’antichità e nel Medioevo infatti lo straniero era visto con sospetto fino ad essere considerato un nemico o un portatore di malattie. I monasteri o gli eremi, spesso ubicati in zone totalmente disabitate, costituivano l’unica ancora di salvezza per quei viaggiatori che si trovavano per via cercando di raggiungere le mete del pellegrinaggio medievale e di frequente erano organizzati per l’accoglienza di massa.

La prima menzione di una chiesa e di un prete in zona San Floriano risale al 1188, cosa che potrebbe indurre a datare la chiesetta al XII secolo. Risale al 1316 la testimonianza dell’attività di una Compagnia di San Floriano, facendo così risalire il Conventino al XIII secolo. Un documento del 1316 attesterebbe invece l’opera di una confraternita di padri domenicani. 

L’ospizio di San Floriano ha conservato intatta nei secoli la sua antica fisionomia. È costituito da tre edifici posti a quadrato intorno ad un cortile ed un muro difensivo nel lato privo di costruzione. Proprio per la necessità pratica e funzionale dell’insieme abitativo, le finestre, le porte ed ogni altro dettaglio non recano né cornici né decorazioni aggettanti di sorta. Un lato era occupato dalla chiesa, la cui navata fungeva da supporto ad un ampio dormitorio. Dal dormitorio, attraverso una apertura a forma d’arcata praticata sul muro orientale, si poteva guardare nell’abside ed assistere alla messa. Molti ospiti si trovavano costretti a letto stremati dalle fatiche del lungo viaggio a piedi, oppure colpiti dalla malattia, così per dar modo anche a loro di seguire con attenzione la liturgia furono sistemati nel muro del presbiterio numerosi vasi acustici, vere e proprie casse di risonanza. Il corpo principale della fabbrica era affiancato da un altro braccio abitativo disposto su due piani. A pianterreno si trovavano locali adibiti a diversi usi come ripostigli, magazzini ecc., al primo piano invece si sviluppava un ulteriore vasto dormitorio. Alle due estremità opposte di quest’ultimo ambiente si trovavano alcune stanzette per i sorveglianti e per i viaggiatori di riguardo come ad esempio prelati, nobili e autorità. Sul lato opposto, a est, si trovavano le stalle, i fienili, le cantine e le dispense. Nel XVI e nel XVII secolo il complesso subì una ristrutturazione: vi fu l’aggiunta di un piano nel tratto occidentale, e degli abbellimenti come ad esempio le scritte latine del 1501 e del 1514 che probabilmente decoravano la sala da pranzo. 

COME ARRIVARCI

Laghetti è una frazione di Egna, posta lungo la statale che collega Bolzano a Trento. Dista circa 30 km da Bolzano e altrettanti da Trento. Il conventino è posto poco a nord del paese, vicino alla centrale elettrica.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Un giorno senza pensieri


Qui Intervista a Alessandro Visintini. Bolzanino con origini gardenesi-napoletane-istriane ha sempre avuto base qui viaggiando per il mondo per studio e lavoro. Ha due figli di 30 e 25 anni. Durante 44 anni e 5000 concerti nell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento ha sviluppato anche altri interessi. Dopo il pensionamento è attivo come Maestro 5. Dan di Judo e insegnante di Karatè. Il suo laboratorio di liutaio è a Meltina, dove vive assieme alla moglie Daniela e due segugi. 

La cosa di me che mi piace.

La capacità di adattamento.

Il mio principale difetto.

La testardaggine.

Il mio momento più felice. 

Vedere i figli sistemati ed autonomi. 

La mia occupazione preferita.

Costruire violoncelli.

Il luogo dove vorrei vivere.

Il profondo nord. 

Non sopporto.

L’incoerenza.

Per un giorno vorrei essere…

Senza pensieri.

Se fossi un animale sarei…

Un bradipo.

Tre aggettivi per definirmi.

Ansioso, empatico, disponibile.

Il mio film preferito.

Provaci ancora Sam.

Il superpotere che vorrei avere.

Risolvere i problemi.

Il mio ultimo acquisto.

Attrezzi per liuteria.

Cosa apprezzo di più del luogo in cui vivo.

La natura e la simpatia dei miei concittadini.

Amo il mio lavoro…

Perché mi mette a confronto con le mie capacità.

L’errore che non rifarei.

Rinunciare ad una opportunità.

La persona che ammiro di più.

Mio padre.

Il mio motto.

Avere fiducia.

Del mio aspetto non mi piace…

La pancia.

Il mio primo ricordo.

Mio fratello in braccio, appena nato.

Orizzonti

Tre anni fa in questo spazio mi interrogavo in merito al nostro orizzonte, a partire dal racconto scritto da una giovane insegnante bolzanina, che identificava nell’Europa il minimo comune denominatore che dovrebbe coinvolgerci tutti. Più in generale, poi, facendo riferimento a esempi di apertura e chiusura mentale tratti dalla nostra cronaca locale (eravamo appena usciti dalla pandemia), mi chiedevo se la vera libertà alla quale alla fine tutti noi ci appelliamo, in un modo o nell’altro, non stia proprio nella capacità di allargare la nostra prospettiva, rispetto al nostro pur luccicante (ma non troppo) piccolo orticello. 

Sul tema dell’orizzonte torno, perché per me questa parola ha sempre fatto rima con… estate. Nella mia esperienza infatti, ma penso non solo nella mia, è proprio durante questa stagione che a noi montanari viene concesso, per un periodo più o meno lungo, di assaporare gli orizzonti di pianura o di mare, ovvero i… “veri” orizzonti. 

La parola orizzonte viene dal greco e significa letteralmente “cerchio che delimita”. La definizione di orizzonte è bellissima. Orizzonte è infatti la “linea apparente che separa la terra dal cielo, la linea che divide tutte le direzioni visibili in due categorie ovvero quelle che intersecano la superficie terreste e quelle che non la intersecano”. Mi piace soffermarmi su quell’aggettivo “apparente”, così evocativo e immaginifico. 

La linea dell’orizzonte al mare mi ha sempre affascinato. Sono sempre rimasto ore a guardarla, quando potevo, perché mi conciliava i pensieri, quelli che danno senso, innescano i ricordi e mettono in moto le idee. Poi l’orizzonte di mare e di pianura mi ha sempre regalato colori inediti, albe e tramonti, nuvole lontane di una consistenza non famigliare per un montanaro. 

Il mio augurio è che questo fascino per l’orizzonte fisico sia in grado di contagiare anche i nostri orizzonti di vita, alimentandovi speranze, sogni, progetti, impegno, valori. 

Il cielo che sta sopra l’orizzonte è lo stesso dove di notte splendono le stelle. E nella bandiera dell’Europa il colore del cielo di giorno è associato alla luce delle stelle che brillano di notte. Si tratta di una contraddizione solo apparente. Sta in noi alimentare questo sogno di prosperità e di pace. Ovunque noi siamo.

Autore: Luca Sticcotti

Orienteering, in natura e in città

L’orienteering è uno sport che coniuga abilità fisiche e mentali, portando i partecipanti a misurarsi in ambienti naturali e urbani attraverso percorsi studiati nei minimi dettagli. Oggi ci immergiamo in questo mondo, esplorando le attività del Gruppo Orientisti di Bolzano con l’aiuto di Enrico Frego, tecnico federale ed esperto in questo campo. Per chi non conosce l’orienteering, il primo segnale distintivo sono le lanterne colorate disseminate lungo il percorso di gara.

L’INTERVISTA

Enrico Frego, cos’è l’orienteering? E come funziona?

L’orienteering è una disciplina che viene chiamata anche sport dei boschi perché si pratica all’aperto, prevalentemente nel bosco. è nata circa duecento anni fa in Scandinavia. In un certo senso è un gioco adatto a tutti, in cui si utilizzano una carta topografica – realizzata appositamente con segni convenzionali unificati in tutto il mondo – ed una bussola. Si può gareggiare individualmente o in squadra, transitando attraverso diversi punti di controllo posti sul territorio. Quando si raggiunge il punto di controllo, contrassegnato dalle lanterne, ci si registra con il proprio testimone. Vince chi impiega il tempo minore. In questo sport, però, non vince necessariamente il più veloce, ma chi è in grado di orientarsi più rapidamente o chi si organizza meglio, cioè chi fa le scelte di percorso migliori. Si divide in quattro discipline: corsa orientamento, mountain bike, e nella versione invernale, con sci da fondo. La corsa è la regina delle pratiche sportive dell’orientamento, con percorsi molto lunghi, medi e brevi. I percorsi brevi generalmente si tengono nei centri storici delle città. La quarta disciplina è il trail-O detto più semplicemente orientamento di precisione. è nata per dare spazio anche a disabili, ma è praticata insieme a persone normodotate, creando gare interessanti dove tutti sono posti sullo stesso livello; è riconosciuta dal Comitato Paralimpico. Le gare nelle quattro specialità si svolgono su tutto il territorio nazionale ed internazionale, creando un interessante binomio di sport e turismo.

Lei è anche un esperto nel posizionamento dei percorsi, giusto?

Sono tecnico abilitato alla creazione di percorsi agonistici, ma ho una grande propensione nella ideazione di percorsi a titolo divulgativo di questo meraviglioso sport.

Prima accennava al Comitato Paralimpico. L’orienteering è uno sport olimpico?

Questo è un progetto su cui si lavora molto anche grazie anche alle nuove tecnologie, (droni, gps, maxi schermi ecc.), ma ci  sono molte difficoltà logistiche, che rendono difficile l’intento..

Come GOB, Gruppo Orientisti Bolzano, siete molto noti per la vostra accoglienza e specializzazione nella divulgazione di questo sport. Cosa fate esattamente?

Pur essendo la squadra attiva più antica d’Italia, oggi siamo noti più per la nostra attività divulgativa, formativa e ludica che agonistica. Quest’anno, ad esempio, abbiamo coinvolto ragazzi e genitori organizzando dodici incontri utilizzando varie ”arene” bolzanine come il Parco Petrarca, le passeggiate del Guncina, Il Parco Firmian, il Bosco dei Bricconi, la Sport City a Bolzano. Ma ci siamo mossi anche nei dintorni come ad esempio al Colle o a Maso Ronco, ma anche al Grand Hotel di Dobbiaco per una due giorni di immersione nell’orientamento.

Parliamo degli appuntamenti nel centro storico di Bolzano.

Da anni proponiamo percorsi tematici in centro, che uniscono all’orientamento la possibilità di scoprire aspetti della nostra città. Si tratta di temi adatti a tutti, dai più piccoli ai “bambini” di 90 anni. La proposta spazia dalle piccole curiosità a temi legati all’ambiente, come il verde e l’acqua: ma può riguardare sconosciute “opere d’arte” fino a veri e propri percorsi didattico-artistici o storici, molto richiesti dalle numerose scuole che ogni anno raggiungono la nostra città per visitare Oetzi e che “giocando” prospettano una nuova divertente forma di visita ai propri insegnanti e scolari. I percorsi sono frutto di una minuziosa raccolta dati, effettuata ancora nel 2010 – insieme a oltre 2000 fotografie catalogate di particolari punti del centro storico – unitamente al continuo lavoro di aggiornamento della mappa, adattabili di volta in volta alle esigenze del richiedente di turno. I vari punti servono sì a scoprire parti sconosciute o quasi della nostra città, ma soprattutto a far riflettere e a far nascere domande in modo che il partecipante incuriosito possa in autonomia approfondire i temi proposti. Scopriamo spesso che altre realtà utilizzano le nostre mappe. Questo non ci infastidisce, anzi, ci fa piacere, ma gradiremmo che si citassero le fonti o, meglio ancora, che ci interpellassero direttamente, in modo da fornire loro materiale aggiornato. Quando prepariamo delle mappe per i bambini delle elementari, ci assicuriamo di predisporre percorsi sicuri, sempre in accordo con le loro maestre o maestri, evitando attraversamenti pedonali e cantieri. Tuttavia, c’è chi utilizza ancora mappe nostre di qualche anno fa, che segnano elementi architettonici della città, alcuni dei quali, a causa di lavori, non esistono più. Per questo preferiamo essere contattati, non solo per correggere le mappe, ma soprattutto per predisporle in modo tale da non perdere di vista lo scopo ultimo: migliorare la capacità di’orientamento, divertendosi.

Chi è interessato alla vostra attività dove può documentarsi? Come si entra in contatto con voi?

La cosa più facile per trovarci, almeno per chi ha Facebook, è seguire la pagina del Gruppo Orientisti Bolzano, dove pubblichiamo tutte le informazioni relative alle varie attività man mano che vengono svolte. Si può anche scrivere una mail al seguente indirizzo:
gob.bolzano@gmail.com

Autore: Till Antonio Mola

Don Flavio. La partecipazione “al cuore della democrazia”

Don Flavio Debertol si è spento mentre a Trieste si teneva la 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia. Avrebbe voluto essere lì anche lui, come aveva sempre fatto. Per dare il suo contributo, ma soprattutto per ascoltare. Per partecipare. Proprio la partecipazione, a Trieste, diventa il “cuore della democrazia”.

“Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare”, ha detto il presidente Sergio Mattarella nell’introdurre la Settimana sociale. Per “affrontare il disagio, il deficit democratico” è necessario ripartire ogni volta “dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole. Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia”.

“Uno Stato non è veramente democratico”, gli ha fatto eco papa Francesco nel discorso conclusivo, “se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”. 

Don Flavio Debertol si è spento a Bolzano mentre a Trieste risuonavano queste parole. Oltre a decenni di collaborazione in parrocchia, aveva promosso davvero lo sviluppo delle “formazioni sociali”, mettendo in particolare il lavoro al centro della propria azione. Egli stesso aveva scelto di esercitare, da prete, un lavoro “laico” (nel settore sanitario), si era impegnato nel sindacato, era assistente di ACLI e UCID ed era stato responsabile diocesano per la Pastorale Sociale e il Lavoro. Cappellano o assistente anche degli scout dell’AGESCI, della Polizia di Stato, del MASCI, dei Maestri del Lavoro e delle FS per l’Alto Adige.

“Quello che ho sempre cercato di fare”, disse don Flavio, “è stare insieme alla gente per testimoniare il dono della fede, pur con i miei difetti e presunzioni”. Convinto che l’amore (di cui Dio è la fonte) “sia una risorsa straordinaria per dare senso e pace alla vita di ogni persona, in qualsiasi luogo e situazione esistenziale essa si trovi”, “sento in me una grande spinta per promuovere la pace, la giustizia, la solidarietà nel mondo e per questi valori cerco, nel mio piccolo e per quanto riesco, di impegnarmi a livello locale e non solo”. Una vita spesa, come per molti dei delegati di Trieste, per rendere la chiesa “più evangelica e in ascolto delle sfide attuali”. O, come direbbe da capo scout, “un po’ migliore di come l’abbiamo trovata”. Buona strada don Flavio.

Autore: Paolo Bill Valente

Merano vissuta da primo cittadino

Il sindaco di Merano Dario Del Medico si trova ormai oltre la metà della sua prima legislatura e traccia un bilancio del ruolo che non si aspettava di poter ricoprire ma che oggi vive serenamente, pur non nascondendo le tante difficoltà. Nel suo ufficio nel cuore della città Dal Medico ci ha parlato del futuro della città del Passirio, dei suoi problemi, dei grandi progetti che stanno trovando oggi una realizzazione e di quelli che ancora sono solo tratteggiati sulla carta.

Era l’ottobre del 2021 quando l’avvocato Dario Del Medico varcò per la prima volta il municipio con la fascia tricolore, e lo fece dopo essersi candidato con una lista civica totalmente slegata dai partiti tradizionali; una scelta che – numeri alla mano – venne premiata dagli elettori. Oggi a distanza di tre anni molto è cambiato, sia per lui che per la città.

Sindaco Del Medico, lei è stato eletto in una lista che si poneva oltre le divisioni ideologiche, e pare che questa scelta  si sia rivelata vincente. Qual è la situazione oggi, le sembra che questa spinta civica sia rimasta nei cuori dei cittadini?

Secondo me sì, anche perché gestire una città di queste dimensioni richiede soprattutto uno sforzo amministrativo, per cui non c’è il reale bisogno di un collegamento con la politica nazionale. Avevo accettato di correre per le Comunali, ritenevo la proposta un onore, e avevo detto fin da subito che avrei voluto essere un candidato indipendente fra le civiche. Poi, con mia grande sorpresa, i meranesi hanno deciso di votarmi, evidentemente premiando anche questa scelta, che ritengo vincente ancora oggi: non sono legato a nessuno, mi sento davvero super partes, e sono davvero a mio agio così. 

In questo suo mandato sono stati sciolti molti nodi cruciali dell’amministrazione cittadina. Fra questi la questione dell’areale militare, che potrebbe diventare parte integrante della città… 

Non è una questione semplice, e trovare una soluzione non sarà così agevole come potrebbe sembrare: sta passando piano piano nelle mani della Provincia, e poi potrà passare nelle mani del Comune. Il problema è che il Comune non ha le potenzialità economiche per poter pensare di acquistare quell’areale, perché – lo ricordo – non verrà ceduto a titolo gratuito. In merito però ci sono moltissime idee; un paio di anni fa abbiamo fatto un convegno sul tema, ed ora vorremmo organizzarne un altro per avere una visione più concreta su quello che potrebbe essere lo sviluppo di questa zona. Siamo però consapevoli che qualsiasi idea avrà bisogno di diversi lustri per vedere la luce, per cui dobbiamo essere molto elastici nella pianificazione, rispondendo alla domanda: quali saranno le esigenze della città fra 20 anni?

Ma quale sarebbe il suo sogno in merito?

Merano come centro secondo centro altoatesino non ha ancora un suo palazzetto dello sport: tutte le società sportive che militano tra le serie A di pallamano e altre Serie B e che fanno campionati nazionali, sono sempre dipendenti dalla disponibilità delle scuole, e sono quindi sempre ospiti. È un sogno, ma in realtà assieme alla Provincia sono già in atto dei contatti con “Euregio Plus”, che potrebbe essere utile per investimenti a lungo termine.

E poi c’è la questione dell’ippodromo: siamo finalmente a un vero punto di svolta?

Siamo riusciti a firmare il contratto di permuta, si tratta di un bel passo avanti per il suo rilancio. Abbiamo a disposizione un “gruzzoletto” da investire, e sono molto felice delle persone che sono state nominate nel relativo gruppo di lavoro: la Provincia ha nominato due tecnici,  Daniel Bedin, direttore del Dipartimento opere pubbliche e valorizzazione del patrimonio e Andrea Sega, direttore dell’Ufficio edilizia est, mentre noi abbiamo scelto altri due membri, l’avvocata e vicepresidente di Merano Galoppo Clara Martone e il consulente aziendale Richard Stampfl, grande appassionato di ippica, nonché proprietario di cavalli. Sono persone che se ne intendono, che conoscono le necessità ed i problemi del settore.

Uno dei temi più stretta attualità è quello dell’overturism. Com’è la situazione a Merano?

Merano è una città a vocazione turistica da sempre e di turismo vive, ci guadagnano tutti, non solo gli albergatori, e questo è un particolare che non tutti comprendono davvero. Sono stato in città che un tempo erano dei templi del turismo, e che oggi invece sono in crisi, come Chianciano Terme, per esempio, che oggi è ridotta a città fantasma, e questo lo vorrei davvero evitare a Merano. Proprio in questo periodo stiamo lavorando con l’Azienda di soggiorno per creare un percorso che renda Merano attrattiva prima per i residenti e poi per gli ospiti, facendoli poi naturalmente convivere. 

Il turismo è strettamente legato anche con la mobilità. A Merano in questi ultimi anni sono state fatte opere importanti per gestire il traffico. A che punto siamo?

Siamo a buon punto per quanto riguarda la circonvallazione interrata, speriamo di riuscire a renderla percorribile per i primi mesi del 2026. Con essa, poi, ci sarà un estremo bisogno di riorganizzare la viabilità nella zona della stazione grazie al Centro di mobilità, un progetto che è sul tavolo delle giunte da almeno 13 anni. Nella zona dove ci oggi sono i container vorremmo creare un centro di interscambio, dove i cittadini arrivano in città in treno e si possono poi spostare senza difficoltà in autobus o con la bicicletta. Non è un progetto facile da realizzare, siamo ancora nella fase di elaborazione del Pums, ma è di estrema importanza: nel momento in cui verrà aperta la circonvallazione il problema del traffico verrà trasferito nella zona della stazione ferroviaria. E se lì non si crea uno snodo, il traffico inevitabilmente si ingolfa.

Con i suoi comitati, Merano è un esempio per quanto riguarda la partecipazione nei cittadini all’amministrazione della città nei quartieri. In questo periodo in cui la crisi del volontariato si fa sentire aspramente, sembra un segnale molto positivo…

Lo è, ne siamo tutti affascinati, soprattutto appunto per quanto riguarda i comitati: crescono spontaneamente, creano il loro statuto, si organizzano in autonomia, scelgono i loro rappresentanti e animano i rioni dove le persone dove vivono o lavorano. L’assessora Emanuela Albieri fa da sempre un ottimo lavoro per accompagnarli nei loro servizi e a dare loro voce, e la giunta intera si reca periodicamente a far loro visita per capirne le necessità. I comitati nel prossimo futuro saranno un elemento vitale anche per quanto riguarda la sicurezza: il Controllo di vicinato potrà essere gestito anche da loro.

Autore: Luca Masiello

Philipp Burgger e le sue discutibili doti: furbizia e qualunquismo

Dopo averlo inutilmente inseguito per anni con lo scopo di realizzare un’intervista, il nostro esperto della scena musicale Paolo Crazy Carnevale ha infine deciso di tracciare un suo ritratto critico dedicato al leader del gruppo Frei.Wild, molto conosciuto nell’ambiente di lingua tedesca in Alto Adige ma anche e soprattutto in Germania. Oggi Burgger è attivo anche come solista e, addirittura, come autore di libri. 

Probabilmente, tra la popolazione di lingua italiana di questa povera/ricca regione, non se n’è accorto quasi nessuno, ma sul finire dello scorso anno, in Germania è stato pubblicato un libro che è finito subito in testa alle prestigiose classifiche della rivista Der Spiegel. 

Il titolo in italiano suonerebbe più o meno così: “Libertà con cicatrici, la mia strada dalla destra a dappertutto”. Laddove la destra, non è quella che si tiene guidando un mezzo di trasporto.

La cosa non ci stupisce, visto e considerato che Burgger è il leader dei Frei.Wild, la più conosciuta e discutibile band uscita dall’Alto Adige in questo millennio. è cosa nota che i Frei.Wild, soprattutto ai loro esordi, non hanno mai fatto mistero di certe simpatie per l’estrema destra dei naziskin. Non è un caso che in principio la band di Brugger si chiamasse Kaiserjäger (sintomo di una certa nostalgia per un passato che… è passato!) e il loro CD recasse all’interno del booklet foto di gente col braccio teso.

Si tratta di cose che Burgger sostiene di aver chiarito e messo a posto, a modo suo. Ma furbamente, perché ora quando parla di quel periodo, che sostiene essere stato il più schifoso della sua vita, lo fa con le dovute distanze, ma non si può negare che se i Frei.Wild sono arrivati dover sono arrivati (decine di migliaia di persone ai loro concerti, tour da tutto esaurito, dischi vendutissimi ristampati più e più volte in ogni formato), è stato grazie all’investitura che secondo la leggenda hanno ricevuto dai loro consimili e precursori Böhse Onkelz, gli zii malvagi, la cui storia non è poi troppo diversa per quanto riguarda i coinvolgimenti, spesso rinnegati o disconosciuti, con l’estrema destra germanica.

Non è un caso che sul primo disco del gruppo ci fosse un brano intitolato Südtirol, in cui Burgger cantava: “Alto Adige, strappato ai tuoi fratelli/Gridatelo, fatelo sapere a tutti/Alto Adige, non vi siete ancora persi/I tuoi nemici bruceranno all’inferno, sì!”.

Ma questo è il passato, obietterebbe oggi Burgger. Perché lui dice di non essere più quello. Anni fa abbiamo provato ad intervistarlo, per farci spiegare il fenomeno Frei.Wild, ma la cosa non è andata in porto: innanzitutto perchè Burgger aveva imparato la lezione di Mister Durni, ovvero rilasciare le interviste a casa sua, obbligando i giornalisti a salire al suo castello. Ma poi il musicista comunque ha continuato a disdire gli appuntamenti come se non gli interessasse quello che il pubblico italiano potesse pensare di lui.

Se non è furbizia questa! 

Ora Burgger le interviste le va a rilasciare alle fiere del libro, dove si reca per presentare l’autobiografia citata in apertura, ma va anche a tenere i discorsi a San Leonardo in Passiria in occasione degli anniversari di Andreas Hofer. E fa l’uomo di famiglia, inneggiando alla bellezza della famiglia, ai suoi figli. Si potrebbe anche credergli, ma intanto i Frei.Wild continuano ad essere sulla cresta dell’onda, tanto che lui ha anche dato il via ad una carriera come cantautore solista, piazzando i suoi dischi nelle zone alte delle classifiche (il primo è stato addirittura numero 1 in Germania).

I contenuti (ma sarebbe quasi più azzeccato dire i non-contenuti) musicali sono diventati molto qualunque, all’insegna di un rock furbetto e caciarone. Ha addirittura inventato un festival folk che si tiene a Naz ogni anno, con numero di presenze che in regione non fa nessuno, ma a ben vedere di folk c’è ben poco visto che negli anni vi hanno suonato Sepultura, la cantante dei Warlock, gli Helloween e altri nomi del metallo pesante, laddove la definizione folk si basa piuttosto sul concetto che è una festa popolare. Insomma un dire senza voler dire che è appunto indice di subdola astuzia, come l’impegno sotto il profilo sociale in cui Burgger è coinvolto: col risultato che nel mondo musicale di lingua tedesca Burgger è comunque rispettato perché tende a condividere i successi del suo gruppo, offrendo occasioni di suonare a destra e a manca, come un benefattore.

Nel bel mezzo dell’emergenza pandemica, poi, è uscito un brano dal titolo furbissimo di “Ciao bella, ciao”: una fiera dei luoghi comuni (tipica della destra, tedesca o italiana che sia), col lago di Garda, la Vespa Piaggio, un riff accattivante, un’avvenente cover girl e Burgger che canta di come la bella della canzone gli abbia spezzato il cuore: “Brindiamo al tuo amore per te stessa/Lei non è mai stata per me/Ciò che resta è un ponte che resiste/Quando l’amore si spezza/E nient’altro funziona/Marmo, pietra e ferro e anche l’amore si spezza/Ma gli amici per la vita non ti lasciano/Ciao Bella ciao, Bella ciao, Bella ciao/Ciao Bella ciao, Bella ciao, Bella ciao/Non come te, stupida scrofa”.

Si potrebbe obiettare che il riferimento è alla Vespa (una moto italiana, sarà un caso?) che pianta in asso il protagonista del video. Ma…  può essere stupida una moto?

È l’ennesima astuzia di Burgger, indubbiamente un affabulatore che riesce a convincere molta gente. Non noi.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

L’assonanza fra “polenta” e “Caldaro”

La storia, si sa, spesso si nasconde nelle parole. Una di queste è “Plent”, con la quale a Caldaro (e poi nel dialetto sudtirolese in generale) si definisce la polenta di mais, pietanza tipica del Veneto, della Lombardia e del Trentino. “Plentnkessl” è invece il paiolo di rame in cui la vivanda viene cucinata e che compare nello stemma comunale di Caldaro. Non è dunque un caso se gli abitanti di questo comune venivano sopranominati “Plentnfresser”, mangiatori di polenta.

In effetti, la polenta, reminiscenza culinaria e lessicale per certi versi paragonabile alla famosa madeleine proustiana,  era la padrona incontrastata della tavola caldarese fino alla metà del secolo scorso e veniva consumata al posto del pane a colazione, pranzo e cena. 

Poi dai campi attorno al lago scomparvero le piantagioni di granturco (Tirggn) e la tradizionale polenta cotta sotto le vigne cedette il posto ad altri alimenti. 

Plent, vivanda e termine, furono “importati” dal vicino Trentino, in particolare dalla Val di Non. Come pure quel “Tschink”, storpiatura di  sindaco, appellativo del capo del “Rigl”, ossia della regola. 

Del resto, i strettissimi legami tra Caldaro e la Val di Non, tipici di ogni confine linguistico, risalgono alla notte dei tempi e tradizionalmente molti contadini nonesi possedevano vigneti tra Caldaro e Termeno. Secondo alcuni storici è probabile che fino al XIV secolo Caldaro fosse un comune quasi completamente abitato da popolazione di lingua romanza originaria, per l’appunto, dei paesi oltre il passo della Mendola. Oggi  la presenza italiana si limita ad un 7% dei cittadini. 

Nella famosa lettera di S. Vigilio, risalente a un periodo tra il IX e il XII secolo, si narrano le vicende della nascita della parrocchia di Caldaro, che sarebbe stata fondata dallo stesso vescovo trentino vissuto nel IV secolo. 

Nei boschi di Castelvecchio ancora oggi troviamo i ruderi della basilico di San Pietro, raro esempio di edificio religioso risalente agli albori del cristianesimo in Tirolo. Nel documento e in molti altri atti notarili successivi la località compare sempre con il nome di Caldare. 

A partire dal XIV secolo, inizio della lenta tedeschizzazione di Caldaro, il nome viene latinizzato in Caldarium, con possibile riferimento al paiolo che ancora oggi compare nello stemma comunale. Da quel periodo in poi iniziò la lenta trasformazione del nome. Da Chaldar e Chaltar si passò a Chalter,  finché in un atto notarile redatto a Merano troviamo un significativo “vinea iuxta Calderem, quod in vulgo dicitur Chalter”. La -n finale di Kaltern può invece essere interpretata come la desinenza al dativo di Chalter, ossia “a Caldaro” o “di Caldaro”. 

Non è escluso che Caldaro, come sostiene il linguista originario della Val di Non Carlo Battisti, nel periodo longobardo facesse parte della gastaldia di Romeno. Certo è che Caldaro e Termeno erano occupate dagli arimanni del ducato di Trento, tanto che le leggi longobarde rimasero in vigore anche molti secoli dopo la scomparsa dei Longobardi stessi. 

Tra i proprietari terrieri di Caldaro, a partire dall’epoca in cui questi vennero registrati, troviamo molti nomi di origine romanza accanto ad altri provenienti prevalentemente dalla Baviera. Singolare anche il fatto che molti nomi siano orgogliosamente accompagnati dall’indicazione della località di provenienza della persona, per cui abbiamo proprietari originari “de Cavareno, de Romeno, de Malusco, de Sarnonico, de Roncuno, de Segio, de Castro Fundo, de Melango (Castelfondo). La stessa parrocchia di Romeno possedeva molti terreni nel territorio di Caldaro. Nel XIII secolo Caldaro venne occupata da Mainardo II che la sottrasse al Vescovo di Trento Enrico. Mainardo mise a capo del comune i conti di Rottenburg, originari di Jenbach in Tirolo. Nel 1308 il territorio fu restituito al vescovo ma i Rottenburg rimasero al loro posto. 

Autore: Reinhard Chrstanell

Attenzione alla truffa online

La sorpresa è grande, quando si apre la propria casella di posta elettronica e si vede una comunicazione urgente da parte della Polizia; e non da un commissariato qualsiasi, ma dall’Europol, Agenzia dell’Unione europea che contrasta fra le altre cose anche la criminalità informatica. E l’accusa che viene rivolta al destinatario è di aver commesso una frode su internet. Ma il destinatario nel caso specifico è la redazione del quindicinale QuiBassaAtesina, e abbiamo voluto vederci chiaro.

// Di Luca Masiello

La coscienza è a posto, ma il tasto del mouse non sempre fa quello che si vorrebbe: basta cliccare per sbaglio su una finestra  qualsiasi, magari mentre ci si sta rilassando in rete, oppure un “accetto” di troppo sull’ennesimo Pop-up che abbaglia lo schermo e il gioco è fatto, o quasi; anche il cibernauta più cauto non può fare molto contro chi di “mestiere” truffa il prossimo usando internet. 

L’antefatto

Nei giorni scorsi all’indirizzo redazione.bassa@quimedia.it, quello del nostro giornale, è arrivata proprio una di queste mail. 

Nell’oggetto si legge “Richiesta di spiegazioni – Polizia Europol”, e anche l’indirizzo che appare, scritto tutto in stampatello maiuscolo, è indicato come “Polizia Europol”, e nell’allegato c’è un atto giudiziario da parte dell’agenzia europea, con tanto di timbri e firma di Catherine De Bolle, agente di Polizia belga conosciuta per essere la prima donna a ricoprire il ruolo di Direttrice esecutiva di Europol e la prima donna, e la persona più giovane, a diventare Commissario generale della Polizia federale in Belgio. Ed è stata la dottoressa Myriam Quemener (un altro magistrato realmente esistente) a firmare l’ordine di arresto, intimando di “recarsi alla gendarmeria più vicina per l’arresto e per registrarsi come delinquente sessuale (…). Ora sei avvisato”.
Le accuse sono “sollecitazione online ed estorsione sessuale, sito pornografico, cyberpornografia, pedofilia, esibizionismo”.

Lo spavento è immediato, è inutile negarlo; nel caso della mail arrivata all’indirizzo del giornale, magari no, per una serie di motivi, primo fra tutti: come si può arrestare un giornale? 

Ma se arriva al proprio indirizzo privato la tentazione è di rispondere, di chiedere spiegazioni, tanto è solo una mail, magari si sono sbagliati. Cosa mai potrà accadere?

Eh no.

Cosa fare

La prima cosa da fare, quando arrivano queste lettere, è analizzare il contenuto, iniziando dall’indirizzo: il “nickname” è “Polizia Europol”, ma l’indirizzo è quello dell’agenzia? No, e nel nostro caso è un indirizzo che sembrerebbe thailandese, 0943048890@opsmoe.go.th

Poi la forma italiana: va bene, la mail arriva dalla polizia federale olandese, ma l’atto giudiziario sembra tradotto con uno di siti  online da quattro soldi: “Per tua informazione, la legge del marzo 2007 aumenta le sanzioni in caso di tentativi di minori, aggressioni sessuali o stupri potrebbero essere stati commessi utilizzando internet, lo sei per favore fai sentire la tua voce via email”, e segue un altro indirizzo farlocco, questa volta un po’ più credibile ma comunque falso. Che lingua è? 

I capi d’accusa, poi, sono a dir poco esileranti: che reato è “sito pornografico”?

Cosa può accadere

Già questo basterebbe a capire che questa mail è un falso. Anche perché, come spiegano gli esperti della Polizia postale, bisogna sempre diffidare da simili messaggi: “nessuna forza di Polizia contatterebbe mai direttamente i cittadini, attraverso email o messaggi, per chiedere loro dati personali o pagamenti in denaro, con la minaccia procedimenti penali a loro carico”. Eppure c’è chi – in preda al panico, perché si sollecita una risposta entro 72 ore – risponde alla lettera. Cosa succede?

Nel caso migliore alla mail ne segue un’altra, in cui si intima di pagare una cifra (alta) per una sporta di oblazione: si paga e l’Europol si dimentica dei reati ascritti. 

Nel caso peggiore può arrivare una risposta con un link, con il quale – se cliccato- entra in funzione un malaware, e la sicurezza del proprio computer (della propria carta di credito e del proprio conto in banca) è minata.

Come comportarsi

Le azioni da intraprendere, in questi casi, sono poche ma certe: indicare la mail come tentativo di Phishing, segnalandola alla polizia postale attraverso il link www.commissariatodips.it cercando l’area “segnalazioni”. E comunque non rispondere. Mai.  

Autore: Luca Masiello