La difficile nascita della comunità evangelica in riva al Passirio

La nascita di una chiesa e di una comunità evangelica fu notevolmente osteggiata dalla popolazione cittadina. I numerosi turisti e ospiti di cura di religione protestante desideravano invece poter celebrare anche a Merano le proprie cerimonie religiose. Fu il re prussiano Federico Guglielmo IV che, giunto in città nel 1857 per un periodo di cure, fece celebrare la prima funzione evangelica dal suo cappellano di corte, nel giardino d’inverno di Castel Rottenstein a Maia Alta, dove soggiornava con il suo seguito.

In quell’occasione il re acconsentì a che tutti i correligionari presenti in città e nei dintorni partecipassero al rito. Da questo evento in poi, ogni volta che in città giungeva un pastore i turisti evangelici si radunavano presso le abitazioni private per celebrare una funzione. Nel frattempo, con grave disappunto del clero e del partito conservatore, l’8 aprile 1861 il governo viennese emanò la Patente dei protestanti che sanciva l’equiparazione della Chiesa evangelica.

Nel 1861 il tenente prussiano von Tschirsky, in vacanza a Merano, acquistò e donò alla piccola comunità evangelica residente a Merano, una casa ubicata in vicolo Haller, nell’antico quartiere di Steinach.  Ne fu realizzata una cappella, che nei giorni feriali fungeva anche da scuola per i bambini di fede evangelica e un piccolo appartamento per il pastore. Le forze politiche cittadine di maggioranza si erano opposte strenuamente alla trasformazione di quell’edificio in struttura comunitaria evangelica, ma grazie al sindaco Putz e del partito liberale la Comunità evangelica poté avere anche il proprio cimitero posto dietro la chiesa di Santo Spirito, vicino a quello cattolico e, a partire dal 1872, vicino a quello ebraico. A partire dagli anni Settanta si ebbe un pastore residente. Trasferitosi in città con la moglie, il pastore Karl Richter si curò della Comunità per ben ventiquattro anni, fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1866, intanto, il partito conservatore era riuscito a far accettare all’imperatore l’emanazione di una legge regionale con la quale si stabiliva fra l’altro che per la fondazione di una Comunità evangelica nel territorio tirolese fosse necessaria l’approvazione della Dieta regionale. Il pastore Richter non si arrese e presentò una petizione e l’anno seguente chiese udienza all’imperatore che in quel periodo soggiornava proprio a Merano. Finalmente nel 1875 giunse da Vienna la decisione che la legge regionale tirolese non poteva impedire la formazione di una Comunità evangelica. Il decreto del ministro del culto che confermava la fondazione delle Comunità evangelica sia a Merano che a Innsbruck mandò in frantumi la pretesa unità confessionale. Tale conferma al palazzo regionale di Innsbruck venne accolta con una vera e propria sollevazione: la maggioranza dei membri, i rappresentanti cioè del clero e del partito conservatore, lasciarono la seduta in segno di protesta. La reazione imperiale fu di sciogliere immediatamente la Dieta tirolese che fu riaperta solo l’anno seguente e in seguito a nuove elezioni. Così, ben quindici anni dopo la sua emanazione, la Patente trovò applicazione anche in Tirolo.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Sognare a occhi aperti

Qui Intervista a Alessandro Gatti, designer, esperto di branding e comunicazione. Gatti vive a Fiè alla Sciliar; si è formato alla Scuola del libro di Urbino e all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ha studiato con Emilio Vedova e Ennio Chiggio. A Bolzano ha cofondato lo studio Doc, di cui è il direttore creativo. Fra i suoi progetti più interessanti va ricordata l’installazione multimediale permanente di piazza Magnago a Bolzano intitolata “Autonomiae”. 

La cosa che mi piace di me.

Che sono curioso.

Il mio principale difetto.

Dopo un po’ mi annoio.

Il mio momento più felice.

Quando è nata Sara. Mia figlia.

La persona che ammiro.

Sonia, la mia compagna, perché è sempre felice.

Un libro sull’isola deserta.

Due. Antonio Tabucchi “Notturno indiano” e “Di chi sono le case vuote?” di Ettore Sottsass.

La mia occupazione preferita.

Essere occupato.

Il paese dove vorrei vivere.

Piuttosto una città: Berlino, che è come un paese. Sto bene quando sono lì.

Il mio piatto preferito.

Tagliatelle fatte in casa. Sono marchigiano!

Non sopporto…

La maleducazione, l’ingiustizia, la violenza e chi vuol fare la guerra.

Per un giorno vorrei essere.

Lenny Kravitz.

La mia paura maggiore.

Annoiarmi.

Nel mio frigo non mancano mai.

Il lievito e le bollicine.

Mi sono sentito orgoglioso quando…

…è uscita una pizza perfetta dal forno a legna.

Il mio motto.

Evvai!

Il giocattolo che ho amato di più.

Il Lego.

Il mio poeta preferito.

Ungaretti.

I miei pittori preferiti.

Jannis Kounellis, perché in fondo era un grande pittore. Pino Pascali, sorprendente. Enzo Cucchi, visionario. Sigmar Polke, meraviglioso. Katharina Grosse, colore. 

Il dono di natura che vorrei.

Adattarmi.

Dico bugie solo…

In palestra.

Dove mi vedo fra dieci anni

In giro.

La mia musica preferita.

Quella di Peggy Gou.

Il colore che preferisco.

Oltremare.

Da bambino sognavo…

…a occhi aperti. E poi disegnavo. Forse mi è sempre piaciuto fare il designer.

Autrice: Rosanna Pruccoli

Tanja Iarussi: archetipi, miti, presenze

Sono davvero numerosi e assai coinvolgenti i nuclei tematici della ricerca artistica di Tanja Iarussi. Fin dai suoi esordi, concluso l’Istituto d’Arte (1993) e poi l’Accademia di Belle Arti (2000), numerosi e variegati sono stati anche i linguaggi e i mezzi espressivi con cui l’artista ha affrontato nel corso degli anni il suo sfaccettato cammino artistico. La tecnica utilizzata nei suoi lavori infatti dipende e cambia a seconda di ciò che il suo progetto intende esprimere. Nei suoi lavori è possibile incontrare fili di ferro, pietre, cartapesta, reti, legni, cd, e tutto quanto possa risultare espressivo ai suoi occhi. Il suo è un percorso iniziato con la pittura su tela ma approdato ben presto alla suggestiva creazione di opere composte di garze, reti metalliche e creta dal forte impatto emozionale sul fruitore che vi percepisce un ritorno alle origini, alla terra come ventre materno di tutte le creature, come polo di attrazione ed equilibrio dal fascino ancestrale. La cornucopia foriera di doni preziosi o contenitore di sogni diviene nel trittico di Tanja il muto testimone del fluire del tempo che, nell’opera, è esemplificato da una sabbia colorata nelle tonalità del giallo del rosso e del blu. Il desiderio di coinvolgere sempre più il pubblico e renderlo partecipe dell’opera stessa ha portato l’artista a creare oggetti in cui l’intervento dell’osservatore è divenuto fondamentale per dare completezza all’opera. Né è esempio “Sognare ad occhi aperti” dove l’accensione di una luce consente all’opera di vivere di un ulteriore ed inaspettato sguardo, labile e immateriale come i sogni.  Ecografie e fotografie sovrascritte e sovra dipinte sono diventate nel suo personale linguaggio eco-pittura e foto-pittura. Di certo esse sono nuovi mezzi d’espressione con cui narrare storie, evocare ricordi, indurre emozioni. Durante il lockdown Tanja si è rivolta alla mitologia e ne ha tratto in particolare il mito del vaso di Pandora rivisitandolo e immaginandosi una chiusura del suo coperchio atta a respingere ed imprigionarvi tutto il male. Nasce così l’opera “Il fu vaso di Pandora” realizzato in cartapesta. Attualmente l’obiettivo artistico di Tanja Iarussi è una ricerca sulle trasparenze. La leggerezza eterea è il leitmotiv delle garze sottili su cui l’artista fa vivere le immagini di archetipi femminili che vanno dalla madre alla strega e all’angelo caduto ma dalla valenza positiva. In queste immagini dalla bellezza rarefatta si affacciano anche le tracce colorate di decori realizzati all’uncinetto. Essi hanno l’importanza di farsi testimone che passa di mano in mano di generazione in generazione come di un sapere tutto femminile che si perde nel torno dei secoli, e delle parentele

Autrice: Rosanna Pruccoli

Una pongista bolzanina a Parigi

Dopo Tokyo ora Parigi. Debora Vivarelli, campionessa bolzanina di tennis da tavolo si è qualificata per la sua seconda Olimpiade; è una delle poche azzurre della disciplina a riuscire in questa impresa. è nata a Caldaro da una famiglia tutta pongista: la madre, ex giocatrice, dirige la società per cui gioca Debora, mentre la sorella maggiore è allenatrice, e il padre e la sorella minore praticano ancora lo sport. Oggi andremo a conoscere assieme questo sport non così conosciuto.

Ciao Debora, raccontaci in breve chi sei…

Ho 31 anni e sono cresciuta a Caldaro dove i miei genitori sono venuti ad abitare da Bolzano 35 anni fa. Ho iniziato a giocare a nove anni proprio grazie ai miei genitori che praticano questo sport da una vita. 

È una questione di famiglia… sono orgogliosi di questo risultato?

Credo siano molto orgogliosi di questo risultato. È proprio un risultato di famiglia, ognuno di loro ha contribuito a modo suo. Purtroppo, a Tokyo non sono potuti venire per via della situazione Covid. Sono davvero contenta di essermi qualificata per una seconda olimpiade, così finalmente la mia famiglia potrà vedermi giocare. 

Queste non saranno le tue prime Olimpiadi, raccontaci qual è la sensazione di esserti riconfermata a questi livelli?

La seconda qualificazione alle Olimpiadi forse è stata più complicata della prima. In questi tre anni ci sono stati numerosi alti e bassi. Ho sempre avuto il mio obiettivo chiaro in testa, ma non nego il fatto che a volte avevo dei dubbi. Sono fortunata ad avere un allenatore che ha creduto in me anche quando io stavo per buttare la spugna. 

Quali sono le tue ambizioni per questa edizione?

Se a Tokyo sono andata per partecipare, a Parigi vorrei andare con la consapevolezza di potermela giocare con tutte, tolte le asiatiche ovviamente. Ho avuto una buona stagione, so che se mantengo questo livello posso fare bene. 

Sei pronta per Parigi? 

Al momento sto facendo una piccola pausa dagli allenamenti al tavolo. È stata una stagione lunghissima. Mi sto godendo un po’ di mare in Portogallo ma sto curando particolarmente la preparazione fisica. A breve riprenderemo la preparazione al tavolo in Italia ed in Svezia, prima di partire per Parigi. 

Quali sono le caratteristiche per essere un bravo pongista? 

Per diventare una buona pongista bisogna essere disposti ad allenarsi 5-8 ore al giorno, soprattutto da giovani. La parte fisica negli anni è diventata sempre più importante. Bisogna essere rapidi, esplosivi e forti. La parte più importante però rimane comunque la testa, rimanere lucidi e forti mentalmente. A me piace descrivere il mio sport così “Correre i 100 metri mentre giochi a scacchi”. Devi essere veloce e nel mentre essere in grado di anticipare le mosse dell’avversario.  

Chi ti aiuta in questo percorso?

Il nostro sport richiede enormi sacrifici in quanto la quantità di allenamenti è enorme e le trasferte in tutto il mondo sono molto impegnative. Ho la fortuna di avere sempre la mia famiglia alle mie spalle ed un marito fantastico. Essendo uno sportivo anche lui, capisce la vita che faccio e tutti i sacrifici che devo fare. Ho imparato tanto anche da lui. Un aiuto fondamentale me lo da anche la mia psicologa, Monika Niederstätter. Ci terrei a ringraziare il Gruppo Sportivo dell’Esercito del quale faccio parte da parecchi anni. Senza di loro tutto questo non sarebbe possibile. Sono veramente orgogliosa di far parte della grande famiglia dell’Esercito e di poterlo rappresentare nelle mie competizioni ad ogni livello. Inoltre, un ultimo ringraziamento va alla Provincia Autonoma di Bolzano. 

Autore: Niccolò Dametto

La via dedicata a Oswald von Wolkenstein

A collegare via Isarco e via Cappuccini vi è via Wolkenstein; è il nome  di una famiglia nobiliare sudtirolese, il più noto esponente della quale fu Oswald. Nato verso il 1377 in Val Pusteria, a otto anni si trovava alla Trostburg (Castelforte), un maniero all’imbocco della val Gardena; fu in quel tempo che perse l’uso dell’occhio destro, trafitto da una freccia, pare in occasione di una festa di carnevale. Perché fosse educato e formato da cavaliere, fu affidato ad un nobile, con il quale Oswald crebbe viaggiando, dal 1387, prima nell’Europa del Nord, poi nei paesi orientali, luoghi che menzionò nel “Canzoniere”, narrando la sua decennale esperienza, nella quale fece diversi mestieri (lavapiatti, mozzo di stalla, staffiere, galeotto, ecc); imparò ben dieci lingue e a suonare vari strumenti (piffero, cembalo, strumenti a corda, tamburo). Ritornato nel 1400 dal lungo viaggio, si ritirò a Castelvecchio (Hahuenstein), presso l’Alpe di Siusi. Dall’autunno 1402 all’inizio del 1404 fu pellegrino per la Terra Santa, con un viaggio avventuroso da Venezia a Gerusalemme. Il viaggio in Oriente fu occasione di rinsaldare l’amicizia con Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437), re d’Ungheria, che accompagnò al Concilio di Costanza (1414-1418) e, al suo servizio dal 16 febbraio 1415, in varie spedizioni. Nell’autunno 1417 sposò Margarethe von Schwaugau; ebbero sette figli.  Circa il “ Canzoniere”, risale agli anni tra il 1423 e il 1425 il primo manoscritto, il “Manoscritto A” su pergamena di oltre cento canzoni; risale al 1431 il “Manoscritto B”. Oswald fu al seguito di Sigismondo,  nel viaggio fino a Roma, per l’ incoronazione a  imperatore nel maggio 1433. Dal 1435 al 1445  non si mosse dal Tirolo; nel 1445 partecipò alla Dieta di Merano; fu in giugno che le sue condizioni di salute peggiorarono. Poeta, cantore, guerriero, diplomatico, morì il 2 agosto 1445. La sua salma fu trasferita “magno labore et in calore vectus” (a fatica e con un caldo torrido) da Merano al monastero agostiniano di Novacella.

Autore: Leone Sticcotti

Vittorie e sconfitte

Nei giorni scorsi l’Italia ha superato la fase dei gironi del campionato europeo di calcio dopo una vittoria, una sconfitta e un pareggio. La qualificazione agli ottavi è giunta dopo una partita, quella con la Spagna, in cui l’Italia è riuscita a toccare pochissimi palloni, tra cui purtroppo quello infilato nella propria porta dal giovane Calafiori. è lo stesso difensore del Bologna che, poi, nella successiva partita con la Croazia si è inventato al 98° minuto un passaggio a Zaccagni autore di un bellissimo gol che in un secondo ci ha trasportati dall’incubo di un eventuale ripescaggio alla qualificazione piena. Un pareggio che sa di vittoria, dunque, ma pareri unanimi nel giudicare l’Italia vista finora da brutta a bruttissima, con attaccanti di prima e seconda scelta incapaci di pungere, se è vero che finora hanno segnato nella porta avversaria solo difensori (Bastoni), centrocampisti (Barella) e un attaccante (Zaccagni) entrato nella rosa di Spalletti quasi per caso all’ultimo secondo, al posto di Orsolini.
Pur giocando male, gli azzurri sono riusciti a battere l’Albania, tutto sommato reggere l’urto nei confronti di una fortissima Spagna, e pareggiare con la Croazia che – lo ricordiamo da diversi anni fa parte dell’élite mondiale del calcio.
Vittoria? Sconfitta? Per quanto riguarda il prosieguo degli azzurri nell’Europeo staremo a vedere. Ma quanto accaduto dovrebbe farci riflettere sul significato che siamo soliti dare alla parola vittoria.
Questa parola è stata usata in questi giorni anche per commentare i risultati delle elezioni amministrative che si sono svolte in diverse importanti città italiane. Ed era stata usata qualche settimana prima per le consultazioni europee.
A mio avviso nel campo della politica la parola vittoria non dovrebbe mai essere usata, a differenza che nello sport. Chi prevale un secondo dopo viene investito del ruolo di occuparsi del bene di tutti. Così funziona la democrazia e quindi è meglio lasciare perdere subito l’idea di aver vinto su qualcuno. Per lo stesso principio non mi piace la parola opposizione, contrapposta a maggioranza. Il compito di chi non governa non può essere sempre e solo quello di opporsi. Le soluzioni condivise sono quelle più forti. Politicamente l’Unione Europea è proprio basata su questo principio. è faticoso, ma il consenso che ne scaturisce è di un’altra qualità. Oggi ne abbiamo bisogno come non mai.

Autore: Luca Sticcotti

Il 2 luglio parte la programmazione estiva del Teatro Capovolto in Piazza Battisti

Inserzione pubblicitaria – Arriva l’estate e il Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento presenta al pubblico la programmazione del Teatro Capovolto – La città in scena, la Stagione estiva del Teatro Sociale. 

Martedì 2 luglio prenderà il via il nuovo calendario di appuntamenti che, fino al 31 agosto, colorerà Piazza Cesare Battisti a Trento con un ricco ventaglio di proposte per ogni gusto e per ogni età, tra musica, cinema, spettacoli di prosa, il ritorno del concorso di poetry slam dedicato alla memoria di David Wilkinson, incontri letterari e appuntamenti all’insegna della comicità e, soprattutto, del divertimento.

Un’offerta di appuntamenti decisamente articolata e interessante, distribuita su quarantasei serate, che per il quinto anno consecutivo si svolgeranno all’interno della meravigliosa cornice offerta dal Teatro Sociale di Trento, con il palco rivolto verso Piazza Cesare Battisti. Una veste che negli ultimi anni ha saputo incontrare il gradimento e l’apprezzamento del pubblico trentino e non solo.

La Stagione estiva del Teatro Sociale si inserisce all’interno del contenitore “Trento aperta 2024”, ricco palinsesto coordinato dall’Ufficio Cultura turismo eventi del Comune di Trento, che da maggio a settembre riempirà parchi, piazze e strade della città con tante iniziative dedicate anche al tema del ‘volontariato’, per celebrare nel migliore dei modi la nomina di Trento come Capitale europea del volontariato 2024.

Anche per quest’anno sul palco del Teatro Capovolto verrà dato ampio spazio alla musica, con alcuni grandi nomi del panorama musicale internazionale come l’iconico chitarrista americano Marc Ribot, a Trento con il suo trio The Jazz Bins (formazione che ruota attorno all’organo Hammond di Greg Lewis), o il collettivo internazionale dei C’mon Tigre, oltre al rock del power trio trentino dei The Bastard Sons of Dioniso e all’Eursax 2024, il Congresso Europeo del Saxofono, che quest’anno farà tappa a Trento all’interno del Capovolto con due concerti che vedranno protagonisti i Mac Saxophone Quartet e la New Project Orchestra. Torna, inoltre, la seconda edizione del Beat Festival, una giornata interamente dedicata alla musica e alla cultura underground, mentre la Ziganoff – jazzmer band (composta da musicisti trentini e sudtirolesi) incontrerà il gipsy jazz del leggendario Kalman Balogh per un inedito e imperdibile incrocio musicale. Per gli appassionati di musica, da non perdere il concerto con gli OrcheXtra Terrestre, progetto che parla la lingua delle musiche del mondo (con la direzione artistica di Corrado Bungaro), per poi lasciarsi andare con il divertimento degli Articolo Trentino, la band dialettale più amata del Trentino, che nell’occasione si esibirà insieme alla Banda Sociale di Lavis diretta da Adriano Magagna.

Ma non finisce qui, perché tornerà la Danza Capovolta in collaborazione con la Federazione Trentino Danza, e non poteva di certo mancare un’attenzione particolare alle realtà artistiche territoriali, a cominciare dallo storico Fantasio, il Festival internazionale di regia teatrale organizzato da EstroTeatro e dal Gruppo Teatrale Gianni Corradini – quest’anno in collaborazione proprio con il Centro S. Chiara -, con due serate, il 19 e 20 luglio, dedicate e rivolte ai registi selezionati, che dovranno lavorare tutti sullo stesso testo (1984 di George Orwell), oltre ad ATU – Associazione Teatrale Universitaria, che sarà protagonista di un interessante progetto che cercherà di esplorare l’interazione tra tecnologie IA e pratiche artistiche e di spettacolo. E poi, spazio a volti noti e amati dal pubblico trentino come Loredana Cont, Mario Cagol e Lucio Gardin, agli spettacoli proposti da AriaTeatro di Pergine, TrentoSpettacoli e da Evoè!Teatro di Rovereto, alla performer circense Miriana Nardelli con il suo Dama Koke, uno spettacolo tra danza, coreografia e teatro, realizzato in collaborazione con l’Associazione Aurelio Laino. Senza ovviamente dimenticare i concerti con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e il Corpo Musicale Città di Trento, fino agli appuntamenti cinematografici realizzati in collaborazione con Cineworld Trento, pronti anche quest’anno a coprire gran parte dei mesi estivi con un calendario di ben sedici appuntamenti tra i migliori film italiani ed europei usciti di recente in sala e non solo.

Infine, verrà dato nuovamente ampio spazio anche alla poesia con il poetry slam e il ritorno del premio intitolato a David Wilkinson – con giovani poeti e poetesse del territorio pronti a sfidarsi in pubblico recitando poesie originali e inedite -, e al mondo della letteratura con “Prometeo Capovolto”, piccolo festival letterario che indaga le relazioni profonde tra letteratura e teatro attraverso una serie di incontri con alcuni protagonisti della cultura italiana e internazionale, in collaborazione con la Libreria Arcadia di Rovereto.

Tutti gli spettacoli avranno inizio alle ore 21.15.

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