Josef Mayr-Nusser. Coscienze che sanno a chi dire di no

Ottant’anni fa, nell’aula cupa della caserma di Konitz, dove si stava concludendo il periodo di addestramento, il bolzanino Josef Mayr-Nusser, arruolato suo malgrado nelle SS, chiese la parola e, sotto lo sguardo atterrito dei compagni, disse che lui il giuramento di fedeltà a Adolf Hitler non lo avrebbe pronunciato.

Era consapevole, il giovane padre di famiglia, che avrebbe pagato caro quel “no”. Lo sapeva bene anche la moglie Hildegard, con la quale Josef aveva condiviso le motivazioni di una scelta che i più non avrebbero compreso o, meglio, avrebbero fatto finta di non capire. Nel nome di quella ideologia “etnica” che Mayr-Nusser, da dirigente dell’Azione cattolica, aveva stigmatizzato già nel luglio del 1938, l’anno delle leggi razziali. “Il singolo ha valore esclusivamente in quanto membro del corpo etnico”.

Josef Mayr-Nusser obiettore di coscienza. Di più: testimone della coscienza. È bene sottolineare che il suo “no” non fu contro l’uso della forza né contro gli eserciti in sé. La teoria e le pratiche della nonviolenza moderna stavano facendo allora i primi passi, lontano dall’Europa. Josef pronunciò quel “no” contro le ideologie di morte al servizio delle quali si pretendeva che uomini come lui prestassero giuramento promettendo “obbedienza fino alla morte”. Niente di più attuale.

Josef Mayr-Nusser, assieme ai giovani dell’Azione cattolica, aveva formato la sua coscienza al discernimento. A distinguere le idee e le scelte che conducono al bene comune da quelle che hanno come unico scopo il raggiungimento e il mantenimento del potere, come le farneticazioni che Adolf Hitler, ormai da vent’anni, aveva affidato alle pagine del Mein Kampf.

Anche oggi è quanto mai necessario sviluppare coscienze capaci di distinguere, attraverso le nebbie della propaganda, quegli elementi ideologici che vogliono tenere accesi i focolai di guerra, che inducono gli esseri umani alla violenza e alla sopraffazione, che negano la libertà, la dignità umana, l’uguaglianza e la vita.

Autore: Paolo Bill Valente

Valori

Recentemente mi è capitato di fare una riflessione personale sul significato della parola “valore”. Sono partito dai valori delle “cose” ma ben presto mi sono spostato sull’altro significato di questa parola, riflettendo sugli “ideali che orientano le nostre scelte morali”.
Ebbene: sono stato subito colpito da una ventata di anacronismo; ho avuto la sensazione che questo tipo di dimensione sia stata di fatto archiviata nel passato, quasi come se ce la fossimo lasciata definitivamente alle spalle. Non convinto – forse spinto dal mio innato anticonformismo – ho deciso di ricorrere ancora una volta all’enciclopedia Treccani – tra l’altro nella sua versione “ragazzi” – facilmente consultabile online, e ho trovato la seguente definizione.
“Valori sono i princìpi che i singoli individui o una collettività considerano superiori o preferibili. Essi vengono utilizzati come criterio per giudicare o valutare comportamenti e azioni. I valori si connettono in vario modo con la realtà sociale e politica, con l’organizzazione economica e giuridica, con le tradizioni, i costumi e i simboli di una collettività, e quindi mutano nelle varie culture ed epoche storiche.”
Ebbene: quali sono i nostri valori, oggi? E in quale misura sono condivisi?
Il nostro vivere comune, codificato dalle regole che ci diamo, man mano, recentemente deve fare sempre di più i conti con un approccio individualistico che tende a rimettere in discussione tutta una serie di principi che per decenni avevamo dato (quasi) per scontati. Si tratta di un individualismo diffuso che sta contagiando anche le nostre comunità, spingendole a ripiegarsi su sé stesse sulla difensiva, producendo sovranismi di ogni genere e ad ogni livello.
I conflitti in corso in Medio Oriente e in Ucraina, che ipocritamente non vengono nemmeno chiamati guerre, a mio avviso sono figli di questo passo indietro che ha reso ormai irrilevante ogni meccanismo che avevamo messo in atto per cercare di arginare questi pericoli globali (Onu).
Leggendo la Treccani dei ragazzi personalmente mi sono vergognato, immaginandomi i pensieri che possono fare i nostri figli e nipoti osservando i nodi irrisolti della nostra cosiddetta “civiltà”.
“Urge uno scatto d’orgoglio”, si sarebbe detto una volta. In realtà si tratta solo di tornare ad essere responsabili di quello che stiamo facendo. Individualmente e collettivamente.

Autore: Luca Sticcotti

Singoli e scampoli

Vediamo insieme alcune piccole novità musicali da non sottovalutare, che sono giuste con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

L’estate, nominalmente, è finita. A dire il vero era finita anche prima dei termini stabiliti per legge, ma tant’è dovremmo essercene fatti una ragione da un pezzo: che l’autunno sia diventato un’opinione, più che una stagione, sembra un dato di fatto.

Ma come? Una volta – per quanto riguardava il mondo delle sette note e nella fattispecie i dischi – l’autunno era la stagione foriera di novità, la gente tornava dalle vacanze e i tormentoni estivi si erano consumati, c’era bisogno di musica nuova con cui affrontare il futuro. Ma ora senza più autunno non ci sarà più musica?

È presto per dirlo, intanto ci possiamo ancora godere alcuni scampoli da non sottovalutare che sono arrivati con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

Ecco quindi Carole il debutto a tutto tondo di Valentina Furegato. La cantautrice bolzanina in realtà aveva già pubblicato qualcosa su youtube durante il famigerato lockdown del 2020, quando molti artisti – non solo nella nostra regione – si davano da fare per non rimanere inattivi del tutto. Carole però è il suo primo vero singolo, con video professionale, produzione adeguata e una marcia in più. Il brano è stato composto insieme a Mario Punzi e la produzione è affidata ad un altro bolzanino, Valerio De Paola. Il risultato è una canzone gradevole, a modo suo estiva, leggera ma con una storia d’amicizia al femminile non scontata, come il video stesso ci racconta. Il brano prelude ad un intero EP che dovrebbe vedere la luce nei primi mesi del prossimo anno. Valore aggiunto, visto che Valentina Furegato è anche ballerina e coreografa, sono le coreografie create per il video insieme ad Anna Mattiuzzo, che tra l’altro nel video diventa la Carole della canzone.

Il 10 settembre è uscito anche il nuovo singolo di Alice Ravagnani, altra bolzanina frequentatrice del bel canto che lo scorso anno ci aveva consegnato un interessante EP con cinque brani, uno dei quali, WEH, era stato lanciato con un video in cui le coreografie erano opera proprio di Valentina Furegato. Rispetto al brano pop di quest’ultima però, la Ravagnani preferisce appoggiarsi a sonorità indie, con una chitarra acustica lo-fi su cui la sua voce dà vita ad una canzone d’amore tormentato e gridato in un refrain in cui la voce cresce disperatamente, facendo il paio con la chitarra elettrica.

A cavallo tra indie e pop c’è invece il singolo di un’altra cantautrice della nostra regione, di Lana per essere precisi, la giovanissima Thessa Longobardi che ha postato il singolo Time su youtube, dove è presente anche come flood blogger e video maker.

Chiudiamo questa breve rassegna dedicata ai singoli con la voce di un’altra donna della musica locale: Laura Coller, di Egna, è la voce acutissima della band heavy metal Sign of The Jackal, di base in parte nella Bassa Atesina e in parte a Rovereto. Il gruppo sulla breccia da parecchi anni, sta tornando con un nuovo disco che uscirà col titolo di Heavy Metal Survivors per l’etichetta germanica Dying Victims Productions. Il disco è anticipato da un singolo intitolato Breaking The Spell (anche in questo caso, come per gli altri qui citati, reperibile su youtube), e a giudicare dalla pasta di cui è fatto il singolo, il disco promette davvero di essere in tutto e per tutto nella scia di quell’heavy metal degli anni ottanta, tornato prepotentemente alla ribalta nell’ultimo decennio.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

(Beep!) Ci stanno prendendo per il (beep)!

C’era da aspettarselo, qualunque fosse il suo contenuto, una fiction ambientata in Alto Adige, soprattutto nel capoluogo, non poteva che destare critiche: critiche per i contenuti, per le gli svarioni della sceneggiatura, per l’immagine che ne esce di Bolzano. L’importante è che tutti possano dire la loro a proposito, a costo di uscirsene con svarioni ancor più grossolani di quelli inseriti nei dialoghi dello sceneggiato “Brennero”, trasmesso in queste settimane da Raiuno.

Inutile dire che i protagonisti di questi commenti provengono quasi tutti dal mondo politico, sembra che nessun cronista si sia preso la briga di andare ad ascoltare – badate bene, ascoltare, non sentire – cosa ne pensa la gente comune, chi si guarda una fiction per il puro piacere di guardarla, di apprezzarne le qualità o disprezzarne i difetti, ma dal punto di vista dell’esserne fuitore/fruitrice e non per cercarne ad ogni costo i punti deboli o le castronerie.

Beninteso, le castronerie non mancano, e sono anche gravi: a partire da quell’inspiegabile (e ripetuta) convinzione che in Alto Adige sia vietato l’uso della lingua tedesca, come se fossimo ancora nel triste ventennio fascista, fino all’incomprensibile capo dei pompieri di origine cosentina che di cognome fa Pedrotti!

Certo, si sa, gli sceneggiatori di fiction vengono pagati un tanto al chilo, ma un po’ di umiltà non guasterebbe, perché non fare rileggere i testi a qualcuno del luogo, giusto per evitare scivoloni del genere.

Del resto, come possiamo pensare di voler insegnare agli altri abitanti della penisola come funziona la nostra regione se siamo noi altoatesini a non sapere ancora bene chi siamo, ad avere la memoria corta sulla storia, recente o meno. La memoria è un cliente scomodo, ma non per questo va trascurato: i bolzanini di lingua tedesca tendevano a dar colpa ai fascisti (e agli italiani in generale) per il fatto di essere stati soggetti all’occupazione nazista tra il 1943 ed il 1945, dimenticando che se fossero rimasti austriaci nel 1918, sarebbero stati nazisti già nel 1938. Per non dire di un recente vicesindaco del capoluogo che dichiarò di preferir festeggiare l’8 settembre (più o meno la data in cui arrivarono i nazisti) piuttosto che il 25 aprile! Per altro non si può non notare come alcuni personaggi di lingua tedesca della fiction abbiano un aspetto da nazisti, tipo la poliziotta Lena Pilcher e il procuratore capo in pensione Gerhard Kofler (ahimè, omonimo del grande poeta bolzanino).

Tornando alla nostra fiction, è apprezzabile come si lasci guardare senza far venire sonno (un bel risultato vista la presenza di un attore sonnolento e dalle scarse doti come Matteo Martari). A chi si lamenta del fatto che l’immagine che ne esce sia di una Bolzano oscura e cupa diremo che così sono un po’ tutte le città del nord che diventano teatro di fiction televisiva (la Milano de “Il clandestino”, la Trieste de “La porta rossa” e Aosta nelle indagini di Rocco Schiavone, ma lì ci sono un attore superlativo e un autore notevole ad elevarne la qualità). Certo le fiction ambientate al Sud quanto a solarità hanno altre chance, anche quando sono tratte da romanzi meno di cassetta rispetto a quelli di Camilleri. A chi ravvisa similitudini tra il killer che uccide solo persone di lingua tedesca e il Florian Gamper faremo solo notare che la perizia psichiatrica sul mostro di Merano diceva che le sue vittime erano persone a cui lui invidiava la felicità, senza implicazioni etniche.

Se comunque qualcuno deve essere additato per le cose che non vanno nella fiction, questo qualcuno è la Film Commission altoatesina che concede allegramente i soldi pubblici senza verificare effettivamente cosa sta sovvenzionando. Non basta difendersi dicendo che il copione lo aveva letto anche la commissione della ripartizione culturale italiana della provincia, troppo comodo. Biasimo comunque anche alla commissione cultura se così fosse.

D’altra parte, proprio quella Film Commission, nel 2013 aveva finanziato “La migliore offerta”, pluripremiata pellicola diretta da Tornatore: ma tutto il film era girato in un magazzino della Bassa Atesina, l’unica ripresa esterna, l’ultima, era stata fatta in Veneto. Il ritorno d’immagine dov’era allora?

La risposta è una sola, ci hanno preso, e continueranno a prenderci per il beep(*).

(*) l’autore lascia ai singoli lettori l’onere di sostituire il beep con  la parola che più ritengono calzante.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Storia illustrata di Malala Yousafzai

Anna Forlati, illustratrice e docente di illustrazione, parla del libro per bambini scritto da Fulvia Degl’Innocenti e illustrato da lei in cui viene raccontata la storia di Malala Yousafzai. Il libro sarà presentato a Bolzano il 12 ottobre alle 11 presso la Nuova Libreria Cappelli.

Com’è nata la collaborazione con Degl’innocenti per il libro Io sono Adila? 

Questo è uno dei primissimi libri che ho realizzato. Fulvia ha proposto all’editrice Settenove, attenta alle questioni di genere, il libro in questione e la casa editrice ha contattato me per illustrarlo.

Perché avete individuato Malala Yousafzai come figura da raccontare?

In quel momento la figura di Malala era molto presente perchè aveva da poco vinto il Nobel; fortunatamente, nonostante gli anni, è rimasta un punto di riferimento per la questione di genere nel Medio Oriente. Inoltre per veicolare certe idee e problematiche non semplici ai bambini, alle scuole e ai genitori, a volte è più facile farlo attraverso figure già conosciute e Malala era perfetta.

Perché è stato scelto di raccontare Malala attraverso la vita di Adila? 

Non essendo l’autrice dò una mia interpretazione: credo che il fatto di vedere l’effetto sulla vita di qualcuno invece che raccontare la sua storia direttamente sia più interessante. Raccontare la vita di una bambina comune, normale e di come questa vita e coscienza siano state influenzate dalla figura di Malala crea un gioco di specchi utile a far immedesimare di più piuttosto che raccontare un personaggio facendolo rimanere lontano dalla nostra quotidianità.

La storia raccontata ha influenzato lo stile che hai scelto per illustrare il libro?

Io sono un’illustratrice che cambia spesso stile a secondo della storia. Nonostante una linea comune che si può notare nelle mie illustrazioni cambio stile e tecnica spesso. “Io sono Adila” ha una sua particolarità rispetto ad altri libri. Per questo ho cercato uno stile con forme semplici e una geometria più semplice, utilizzando anche sproporzioni e linee più pulite. Mi sembrava adatto a un pubblico di bambini più piccoli.

Perché un libro illustrato per bambini? 

Il libro è stato pensato per un pubblico di bambini di età prescolare e scolare. I bambini di questa età sono estremamente ricettivi e riescono a recepire anche problematiche che possono sembrare complesse. Trovo molto valida l’idea che si parli di questi temi a bambini piccoli, perché sono in grado capire quali sono temi forti e capirne il problema; a me sembra che sia quasi più l’adulto ad avere problemi a veicolare determinate tematiche piuttosto che il bambino a comprenderle. Sono assolutamente a favore di questo tipo di operazioni e penso che sia importante per i bambini sapere che ci sono questi problemi di genere.

Quali saranno i prossimi eventi in cui sarai o sarete presenti a presentare il libro?

Il libro è stato pubblicato nel 2015 e l’editoria ha una sindrome del consumo immediato per cui non vengono programmati eventi a distanza di troppi anni, ma so che, fortunatamente, ogni tanto questo libro rispunta e torna fuori anche nelle vetrine delle libri e in qualche evento. Il 12 ottobre avrò modo di parlarne.

Autrice: Anna Michelazzi

Una casa di quartiere per ridare vita alla comunità

Kae Sordi, coordinatrice del progetto di sviluppo di comunità di Maso della Pieve di OfficineVispa, riflette sulle problematiche attuali del rione in cui lavora e racconta le iniziative prese dalla cooperativa sociale per affrontarle.

Qual è la tua professione? 

Lavoro in OfficineVispa da dieci anni, coordino la casa di quartiere che offre un servizio di sviluppo di comunità. Seguo inoltre il progetto Liscià: donne che raccontano donne supportato dall’Ufficio Pari Opportunità della Provincia Autonoma di Bolzano e dall’Ufficio famiglie, donne e gioventù del Comune di Bolzano in cui vengono affrontate tematiche di genere. Oltre a questo mi occupo di orto terapia da libera professionista.

Quali sono le principali problematiche del rione Maso della Pieve? 

Le principali problematicità sono la mancanza di spazi pubblici per la socialità, come lo possono essere una piazza o un parco giochi, e dei punti di riferimento per giovani e famiglie come un consultorio. Oltrisarco è l’unico quartiere senza un consultorio familiare e ciò crea problemi a un nucleo familiare o a una persona giovane che vuole fare una visita gratuita o chiedere un aiuto. A questo si aggiunge la mancanza di un centro giovani nel rione. Su Oltrisarco abbiamo L’Orizzonte, su Aslago abbiamo il Bunker e la zona di Maso invece rimane scoperta. 

Queste problematiche come vengono affrontate ad oggi?

Diversi partiti hanno mostrato interesse e hanno iniziato a riflettere su questi problemi e sulle loro eventuali soluzioni. Penso che anche questa intervista possa essere uno spunto di riflessione per la nuova amministrazione che si è già dimostrata interessata ad aprire un dialogo e a riflettere su questi temi.

La comunità, invece, come le affronta? 

Le persone si spostano; le giovani famiglie, di solito, scelgono i parchi gioco di San Giacomo che sono i più vicini. Nel caso dei consultori ci si sposta in altri quartieri della città. I giovani, non avendo luoghi di socializzazione nel rione, prediligono spazi commerciali come il Twenty come luogo di ritrovo.

La casa di quartiere che cos’è? E come funziona? 

È un luogo dove le persone possono avvicinarsi per partecipare alle attività che proponiamo o per proporne a loro volta. Le attività sono principalmente di socializzazione e partecipazione attiva della cittadinanza e hanno come obiettivo primario la costruzione di un welfare. La casa vuole essere uno spazio della comunità per la comunità.

Quali sono i valori alla base delle vostre attività? 

La partecipazione diretta e l’accessibilità. Vogliamo che gli spazi siano accessibili economicamente e liberi da discriminazioni, e il lavoro comunitario si svolge sui beni comuni. 

Quali sono le attività principali che proporrete quest’anno? Come ci si può iscrivere?

Abbiamo uno spazio per genitori con figli adolescenti con una psicoterapeuta e un formatore, che offre supporto alla genitorialità. Abbiamo in partenza anche corsi di cucito, meditazione, ballo di gruppo e tanti altri come, ad esempio, uno spazio per bambini e adolescenti in cui, incentrandosi sul gioco, si accompagnano i partecipanti in un percorso di aumento dell’autostima.

Le informazioni per iscriversi si possono trovare su Instagram sul profilo @vivimasodellapieve

Autrice: Anna Michelazzi

Sospesi

Può essere crudele il divario tra percezione e realtà per chi non ha le spalle larghe? Tra la polvere di muri sgretolati e strade simili a groviere, case sgarrupate da bombe intelligenti e sventrate dalla furia dei fiumi romagnoli, austriaci, cechi e polacchi anche la larghezza delle scapole non serve a nulla, se non per sviscerare macerie o spalare fango, nella disperazione. Siamo sospesi, nel vuoto. Mentre le guerre non hanno tempi di ritorno ben precisi, ma scoppiano ininterrottamente, hanno durate indefinite e soluzioni larvali, ecco che, in aggiunta, alluvioni e fasi siccitose nostrane – due facce della stessa medaglia – mostrano incontrovertibilmente i sintomi di un paziente malato, la Terra. 

“I cicli esistono, ma si manifestano su scale temporali molto più lunghe rispetto a quella attuale. Il tasso di riscaldamento odierno non ha eguali nel passato (fino alla notte dei tempi), è velocissimo, e senza la forzante antropica, dal 1960 ad oggi la temperatura media del pianeta doveva rimanere stazionaria o addirittura diminuire leggermente. Quindi l’unico ‘responsabile’ è l’effetto dell’eccessiva concentrazione dei gas otticamente attivi, al netto di brevissime fluttuazioni legate alla variabilità naturale; l’attività solare non c’entra”, ci spiega Pierluigi Randi, meteorologo e presidente AMPRO. Siamo sospesi, finché la coorte dell’informazione non adotterà un approccio più  scientifico, piuttosto che sensazionalistico ed acchiappa-like. Sospesi,  su di un ponte sospeso. Quando il sole illumina le pendici arboree della gola sottostante, il tempo sembra fermarsi e dilatarsi per un attimo. Lo sguardo ne percorre i contorni e si fionda aggrappandosi all’orizzonte, come se laggiù si possano trovare certezze; le mani, invece, stringono i cavi che lo ancorano alla roccia, l’istintiva reazione al dondolio e al baratro. L’acciaio è freddo, come quello dei corpi sotto ai ruderi e detriti. La forza dell’acqua ha sradicato persino querce secolari dai cortili, nonché ettari di vegetazione ripariale, abbattuto argini, spazzato via anni di sacrifici ed ingiurie. Non s’è salvata manco la varroa, acari parassiti delle api, con le arnie galleggianti nell’alveo, a giocare di stecca con i tronchi, che tappano il regolare deflusso sotto le arcate dei ponti sopravvissuti. Siamo sospesi, senza terra sotto ai piedi; se ci fosse davvero un possedimento sarebbe sepolto sotto tonnellate di limo e di croste argillose che tolgono il respiro, alle piante e a tutti gli abitanti della buccia terrestre; sospesi, ma col cuore che batte, ancora. Ricordiamocelo, soprattutto, in tempi di pace, perché la fortuna non ammette mancanza di percezione. Fragili e sospesi, con le braccia al cielo e gli occhi sgranati, memori spettatori di quel famoso calciatore siciliano, che tanto ci fece emozionare.

Autore: Donatello Vallotta

Festa delle associazioni: via alle danze

Anche quest’anno la Festa delle associazioni a San Giacomo ha dato il la all’apertura della stagione di iniziative. Tanti sono stati l’entusiasmo e la varietà.

Ormai gli abitanti della frazione di San Giacomo sanno che quando arriva settembre una domenica è dedicata alla Festa delle associazioni che, in un clima di allegria e divertimento, illustrano le proposte per la stagione che sta per cominciare.

Con una popolazione in costante crescita grazie alle nuove costruzioni, che hanno consentito a tante famiglie di spostarsi dalla città per trovare un clima più familiare e accogliente, è anche sempre maggiore l’entusiasmo con cui le associazioni presenti sul territorio costruiscono il proprio programma di attività e intrattenimento per ogni fascia di età. Ecco allora – con la festa proprio nel piazzale della chiesa, l’Oratorio Santiago che, come sempre, propone iniziative di ogni genere – dal pilates ai corsi di cucina e serate creative – solo per dirne alcune.

Presente come sempre anche l’ormai storica “Strapaes”, che ha intrattenuto il folto pubblico con cabaret e karaoke, e molto altro. A far trattenere il fiato sono state le esercitazioni dei vigili del fuoco volontari, presenza immancabile di ogni iniziativa a San Giacomo e quanto mai benvoluti in paese, così come gli alpini che, come sempre, si sono occupati di deliziare i palati dei presenti, tanto quanto gli irrinunciabili strauben di Giuliana e Loredana.

Non sono mancati gli spazi dedicati ai più piccoli: tanti laboratori creativi ricchi di colori, ma anche lo spazio di lettura proposto dalle biblioteche del paese, non solo per intrattenere durante la festa, ma soprattutto per avvicinare grandi e piccoli al dono della lettura, anche in vista della futura biblioteca che troverà spazio nel nuovo polo scolastico. Un appuntamento davvero atteso dalla popolazione.

La festa ha visto la partecipazione, assieme ai residenti “storici”, di moltissime delle nuove famiglie arrivate a San Giacomo, offrendo quindi l’opportunità di uno spazio di aggregazione, conoscenza e integrazione per chi si trova in paese da poco tempo. 

Con la festa delle associazioni si apre una stagione ricca di eventi: nei prossimi mesi e settimane non mancano gli appuntamenti da segnare in calendario per gli abitanti, a cominciare dalla ormai consueta Festa dei Nonni presso l’Oratorio il giorno 3 ottobre, che precede di poco la grande festa della parrocchia prevista invece per domenica 6. 

Tra gli appuntamenti sempre molto attesi c’è senz’altro la castagnata, come sempre organizzata in concomitanza con la festività di San Martino, il 10 novembre. 

Con l’arrivo del nuovo quartiere e di nuove attività commerciali, San Giacomo si sta riscoprendo come zona viva, dove sono sempre di più le persone che hanno voglia di mettersi in gioco per creare tra gli abitanti un senso di comunità e far sì che il paese non si trasformi in un semplice “dormitorio” del vicino capoluogo. Per questo, anche nel caso della festa delle associazioni, un sentito ringraziamento va a tutti i volontari – grandi e piccoli – che, come sempre, hanno dato il massimo.

Autrice: Raffaella Trimarchi

Onestà e impulsività


Avrebbe voluto fare il medico ma alla fine si è laureato in scienze politiche e si è dato al giornalismo. In Rai ha ricoperto ruoli al massimo livello, sia sul piano giornalistico che gestionale. Vagabondo e irrequieto, dagli amici è stato definito “l‘uomo più pendolare del mondo“. Divenuto vedovo troppo presto ha poi sposato Elena, piena di vita e di futuro. Vive con lei e la sua Beatrice tra Salò e Ortisei.

La cosa di me che mi piace di più.

Il continuo tentativo di essere  – il più possibile – intellettualmente onesto. E magari non solo intellettualmente.

Il mio principale difetto.

L’impulsività. Anzi no: prendere decisioni senza valutarne le conseguenze a medio-lungo termine. Scusate sono stato impulsivo.

Il capriccio che non mi sono mai tolto.

Devo essere onesto. Me ne sono tolti tanti e non posso proprio lamentarmi. Certo ci sono sempre altri capricci che vorresti toglierti, ma sarebbe davvero un capriccio di troppo.

Il luogo dove vorrei vivere.

La Sardegna. È un vero luogo del cuore. L’unico dove mi sento quasi sempre in pace con me stesso e dove ho vissuto e vivo momenti di grande intensità con gli amici e le persone care e carissime. Anche con chi non c’è più.

Non sopporto…

Arroganti, intolleranti, violenti, superbi senza averne titolo, tirchi, piccoli ras. È scontato ? Ma è così. 

Per un giorno vorrei essere…

Il capo dell’opposizione. Per tentare di spiegare alla medesima che per fare opposizione concreta occorre conoscere il Paese e le sue trasformazioni, abbandonando posizioni arcaiche e ideologiche e piccole ambizioni personali.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

Quella volta che ho portato allo scoperto e denunciato un affaraccio sporco, da parecchi denari, nella Azienda dove ho lavorato tutta la vita. Ha funzionato, ma poi – sia chiaro – me l’hanno fatta pagare. E tanto. Ma va bene così. 

Tre aggettivi per definirmi.

Curioso, disponibile, presuntuosetto. La nostra Bea, 14 anni, mi definisce “sapientino”.

L’errore che non rifarei.

Dimettermi dalla direzione del Telegiornale. Anzi “dei telegiornali”. Ne dirigevo due contemporaneamente. Alla base c’erano concrete ragioni familiari, ma, ancora una volta, sono stato troppo impulsivo. 

La persona che ammiro di più.

Senza retorica: mio padre Arturo Chiodi, grande giornalista, partigiano cattolico, “uomo libero e coerente” come lo ha definito qualche tempo fa il Presidente Mattarella.