Un piano in più verso l’indipendenza

Se fossimo in Avvento sarebbe una bella storia di Natale. Ma in fondo quella casa a San Giacomo è sempre addobbata a festa, è un luogo dove l’amore tinge le pareti, e non solo. Sabato scorso se ne sono aggiunte altre, di pareti, nella sede dell’Associazione “Aias Laives – Archimede”. Stiamo parlando della casa (privata) di Nelda Bigolin e Paolo Kerschbaumer, una coppia che ha fatto dell’inclusione la propria missione di vita: il piano rialzato è stato ristrutturato in modo da poter costruire al piano superiore appartamenti destinati ad accogliere ragazzi diversamente abili.

C’era il pubblico delle grandi occasioni, al civico 159 di San Giacomo di Laives: le autorità, gli associati, tanti amici e i “padroni di casa”, i quattordici  ragazzi diversamente abili che rendono viva quella casa: “Qui nessuno sta con le mani in mano, i nostri ragazzi sono sempre impegnati. D’altronde sono una ex insegnante, non posso cambiare la mia natura”, spiega con il sorriso Nelda Bigolin. 

È lei che anni fa aveva ricevuto in eredità la metà di quello stabile. Ed è sempre lei che, assieme a suo marito Paolo Kerschbaumer, quattro anni fa ha deciso di rilevarne anche l’altra metà, ristrutturandolo a spese proprie con lo scopo di  utilizzarlo per quei nobili scopi. Sabato scorso, poi, c’è stata la festa per l’ulteriore miglioramento. 

Signora Nelda, la sede si sta decisamente evolvendo…

È un passo avanti verso il coronamento di un sogno, adesso abbiamo molti più spazi per il nostro progetto. Quello che abbiamo inaugurato sabato, poi, è bel salto di qualità per tutti noi. Abbiamo salutato la ristrutturazione del piano rialzato in previsione del risanamento di altri due piani: un piano più un attico destinati ad accogliere ragazzi che potranno convivere tutti assieme in camere grandi, tutte con bagno nell’ambito di quel progetto che chiamiamo il “dopo di noi”.

“Dopo di noi”?

Eh sì. Anche se speriamo tutti di poter restare il più possibile su questa Terra, prima o poi sia io che mio marito non ci saremo più, tutti i genitori di questi ragazzi non ci saranno più. Quindi dobbiamo pensare al loro futuro, ora che siamo ancora in vita. Nel ristrutturare questa casa che ha più di sessant’anni, mio marito ed io abbiamo utilizzato materiale di alta qualità perché abbiamo pensato che questi appartamenti dovranno durare almeno altri 35 – 40 anni, proprio per assicurare un tetto sopra la testa dei nostri giovani.

Quanti sono i vostri ragazzi?

In tutto ospitiamo 14 ragazzi, abbiamo 55 associati e contiamo su 15 volontari. 

Quindici volontari non sono pochi…

Invece purtroppo lo sono. E purtroppo mancano i giovani. La casa è grande, i progetti sono tanti, tutti improntati a guidare gli utenti al raggiungimento di una maggiore autonomia nella quotidianità, far raggiungere loro i primi passi verso una vita autonoma. C’è il laboratorio di pittura, il laboratorio di cavallo, abbiamo anche un pollaio, un orto e un campo di patate: nei giorni scorsi ne abbiamo raccolte ben 7 quintali, e le abbiamo vendute tutte. Ci stiamo dando da fare anche per cercare di autofinanziarci, come quando abbiamo fatto i biscotti di Natale. Il primo anno ne abbiamo fatti 20 chili  e sono andati a ruba, tanto che l’anno successivo ce ne hanno chiesti 30; l’anno scorso abbiamo ne abbiamo preparato 50 chili e per quest’anno ce ne hanno chiesti altri 80, ma non ce la facciamo, non possiamo accettare. È per questo che avremmo bisogno di volontari. Ma nessuno qui sta mai con le mani in mano, noi ci divertiamo: organizziamo una media di sei soggiorni all’anno, siamo stati a Firenze, Milano, Ferrara, in un agriturismo. Abbiamo fatto esperienze interessanti. Se qualcuno avesse intenzione di aggregarsi basta che visiti il sito www.archimedelaives.it

Ma non vi sentite stanchi, ogni tanto?

A volte sì: la casa è grande e a tratti difficile da gestire, le attività sono tante. Ma ce la facciamo, anche quando sembra tutto difficile: è il nostro progetto da sempre, la nostra passione. Non la sentiamo la fatica, perché – senza usare alcuna retorica – facciamo tutto volentieri, sentiamo che stiamo realizzando qualcosa di importante, e la soddisfazione di vedere la gioia negli occhi dei ragazzi ci ripaga di ogni sforzo.

Autore: Luca Masiello

Essere donna in Asia

La condizione della donna nel continente asiatico raccontata e documentata da Paola Marcello: una testimonianza per sensibilizzare il grande pubblico sui temi dell’identità di genere.


Proseguirà fino al 23 dicembre presso il Museo delle Donne a Merano, la mostra fotografica “Donne in Asia”. A proporla è la fotografa e documentarista Paola Marcello che ha trascorso un anno e mezzo nei paesi asiatici alla scoperta di un mondo femminile da noi molto lontano ma che allo stesso tempo accomuna quelle donne a quelle che vivono in occidente.

“È un lavoro dedicato a tutte le donne che ho incontrato – scrive l’autrice nella prefazione del bellissimo catalogo illustrato che accompagna la mostra – nei miei numerosi viaggi nel corso degli anni. Desidero esprimere loro il mio rispetto, la mia solidarietà e la mia ammirazione per le loro varie condizioni di vita, cause di lotte e destini. Ogni incontro è stato per me un arricchimento personale, poiché sono rimasta incantata dalla meraviglia e dalla generosità dell’umanità e della natura che mi circondavano”.
Luca Chistè a sua volta esperto fotografo ha curato la pubblicazione delle foto e il catalogo e così si è espresso a proposito del lavoro di Paola Marcello: “si tratta di una ricerca che ci parla delle donne incontrate lungo un itinerario di straordinaria ampiezza geografica, umana e culturale, in cui emerge con rara prepotenza ed intensità stilistica, la dimensione poetico-fotografica dell’autrice”.

Paola Marcello, perché questo lavoro?
Personalmente ho bisogno ogni tanto di staccare e prendermi un periodo sabbatico per andare a scoprire il mondo. Questo non essenzialmente per fare un reportage fotografico, ma per conoscere altri mondi, entrare in sintonia con le persone, parlare con loro, conoscere e capire i loro problemi, il loro vissuto. Solo dopo arriva lo scatto fotografico che rappresenta la sintesi di quello che io vivo in prima persona. Lo scopo di “Donne in Asia” era da un lato catturare le immagini, l’essenza e l’anima delle donne che ho incontrato e dall’altro trasformare questa testimonianza in una lettura dal significato universale per arrivare alla tanto sospirata parità di genere in contesti dove questa prospettiva è sistematicamente frustrata, disattesa e brutalmente repressa.

Cosa ha portato con sé tornando a casa?
Ho conosciuto donne che sono il pilastro di una società e di una famiglia, che si prendono cura della terra, la coltivano e ne traggono nutrimento, che svolgono ruoli di guardiane e custodi di antiche tradizioni, sciamane, sagge, rivoluzionarie, innovatrici, artigiane e imprenditrici. Un caleidoscopio di figure femminili tutte diverse tra loro ma accomunate dagli stessi principi di fondo, che nonostante le molteplici sfide quotidiane hanno ancora la voglia e il coraggio di sorridere, contente e serene, nonostante la loro condizione.

Quali sono gli obiettivi di questo suo progetto?
Essenzialmente uno solo. Quello di sensibilizzare il grande pubblico sui temi dell’identità di genere e della condizione delle donne, accorciando le distanze tra i diversi mondi femminili e stimolare una riflessione, quanto più ampia possibile, sulla loro identità nel mondo.

IL CATALOGO

La mostra è accompagnata da un catalogo che allo stesso tempo è un libro in cui Paola Marcello correda le sue bellissime immagini, con racconti tratti dall’esperienza che ha vissuto attraversando Thailandia, Nepal, India, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Iran. Sono sette Nazioni a ciascuna delle quali è dedicata una sezione della mostra presso il Museo delle Donne. Paola Marcello nasce a Merano dove vive quando non è in giro per il mondo. Titolare di un “Master di reportage” alla scuola John Kaverdash di Milano si è gradualmente avvicinata al reportage socioculturale e di viaggio. Il suo primo lavoro “Palestina vita oltre il muro” è del 2009. Nel 2011 ha realizzato il progetto “I nuovi meranesi” una documentazione sul tema dell’immigrazione nella società multiculturale di Merano. Sono quindi seguiti altri progetti foto­grafici ad indagine sociale “Io vivo: im­mersione nel mondo delle persone diversamente abili“, “Farfalle nella mente – uno sguardo diverso nella vita di persone affette da demenza senile“, “Storie di commercianti: i negozi in Alto Adige attraverso le generazioni“, “Vite in itinere. Storie di donne in viaggio verso Mera­no“, “Sulla Pelle; gli ultimi volti femminili tatuati del Myanmar”. Negli anni Marcello ha realizzato diverse pubblicazioni, mostre personali e collettive, collaborando con istituzioni e musei in Trentino-Alto Adige, Germania e Austria.

Autore: Enzo Coco

Luca Sticcotti: creatività a tutto tondo

Se la scrittura lo vede protagonista come pubblicista e giornalista sin dagli anni Novanta – e la musica lo ha impegnato fin dai suoi studi universitari e al conservatorio, cui è seguito un lungo periodo di sperimentazione musicale e il 2004 lo ha visto affermarsi come compositore in ambito classico proponendo “Febbraio”, un suo brano per orchestra d’archi – ora è l’arte a dare una ulteriore prova dei tanti talenti di Luca Sticcotti. Nel 2015 ha infatti iniziato con successo a dedicarsi alla pittura all’acquerello, ispirandosi alle tecniche pittoriche di una serie di artisti giapponesi e scandinavi. La qualità dei suoi acquerelli ha riscosso fin da subito il favore di chi aveva avuto modo di vederli spingendolo ad esporre queste sue opere e farle conoscere ad un più ampio pubblico. Così nel 2017 sono iniziate anche le esposizioni con “Nebbie e d’intorni” seguita da “Instant of light”, nel 2019. Ora è la volta di “Intimate Landscapes” dal 18 al 30 ottobre, alla Piccola Galleria di Via Streiter a Bolzano. Eterei eppure dirompenti gli acquerelli di Luca Sticcotti hanno la capacità di evocare sensazioni, emozioni, sentimenti. Poche pennellate essenziali danno vita ad un paesaggio solitario, magari avvolto dalla nebbia oppure colto all’alba piuttosto che al tramonto, un orizzonte in lontananza, un gruppo di alberi prima di una radura, una marina dopo una tempesta, nuvole in un cielo plumbeo squarciato all’improvviso da una luce, primavera oppure inverno, neve o sabbia non sono semplicemente paesaggi ma veri e propri flash back dei nostri vissuti. In queste opere sembrano sprigionarsi armonie quasi che i colori fossero toni, note, di uno spartito interiore. Nei paesaggi in mostra il fruitore potrà perdersi fino a ritrovare sé stesso e quel clima intimo che governa le nostre giornate felici e quelle tristi. “Intimate landscapes” è dunque la chiave di lettura di questi acquerelli dal fascino nordico e dalla linearità giapponese.  

Autrice: Rosanna Pruccoli

Melissa: “ecco cos’è l’emigrazione”

Questa è la storia di Melissa De la Caridad Rodriguez Ortiz, donna che è dovuta scappare da Cuba a ventitré anni con il piccolo bambino, verso l’Italia. Dalla Russia alla rotta Balcanica con il pensiero costante di dover portare suo figlio al sicuro e con la paura di non riuscire a sopravvivere, lasciando dietro di sé le persone care senza sapere se un giorno le potrà rivedere.

Quando si parla di emigrazione e immigrazione a livello di opinione pubblica spesso ci si ferma alle problematiche relative alla sicurezza e all’impossibilità di gestire questi flussi che diventano incontrollati nella maggior parte dei casi solo a causa di precise scelte (o non scelte) politiche.
Abbiamo dunque pensato che potesse essere interessante raccontare la storia vera di una giovane donna che lavora come badante in Alto Adige e che è arrivata qui in maniera a dir poco rocambolesca (e pericolosa) assieme a suo figlio di tre anni. Interessante è anche la sua provenienza: non si tratta né di Africa né di Medio Oriente, ma del Centro America.

L’INTERVISTA

Melissa, ci dice in breve la sua origine?
Sono di L’Avana. Io e mio figlio Adriano siamo in Italia da due anni. A Cuba mi sono laureata in infermieristica e lavoravo in terapia intensiva pediatrica. Qui invece, a causa di problemi di equiparazione dei titoli, faccio la badante.

Perché è scappata da Cuba?
A Cuba mancava quasi tutto, ma dopo la pandemia anche beni di prima necessità, come medicine e alimenti per i bambini che sono diventati introvabili. L’11 luglio 2021 le persone hanno iniziato a manifestare prendendo di mira tutto ciò che potesse far pressione sullo Stato. In ospedale sentivamo le persone che lanciavano i sassi alle finestre e sono iniziati ad arrivare molti bambini feriti. Il governo ha attuato una repressione violenta. Ho smesso di sentirmi sicura, ho iniziato a pensare a mio figlio che doveva crescere e, in novembre, ho deciso di andare via. Ho venduto tutto per comprare i biglietti aerei per la Russia: l’unico Paese per il quale non avremmo dovuto aspettare costosi visti. Sono partita con il mio allora marito e Adriano.

Com’è arrivata in Italia?
Ho viaggiato per sette mesi. Come detto la prima tappa è stata la Russia. Da lì abbiamo preso un aereo per la Serbia. In seguito siamo arrivati in Bosnia pagando 300€ a persona per un trasporto in barca. Arrivati lì, ci siamo spostati nella capitale Sarajevo, nel centro di accoglienza Ušival, che si trova sulla rotta Balcanica. Lì le persone sono state bravissime con noi. Poi abbiamo preso un bus per il confine croato da cui abbiamo continuato a piedi in montagna lungo la rotta che molti conoscono perché su di essa è stato creato il videogioco “The Game”. Mi ricordo benissimo, siamo partiti alle 23 e siamo arrivati alle 6 di mattina. Mio figlio per tutto quel tempo non ha potuto mangiare o bere ed era impaurito dal buio totale. Non potevamo farci vedere mentre attraversavamo il confine: c’erano i poliziotti con i cani. In Croazia un’associazione ha mandato un minivan per portarci in un hotel a Zagabria, dove ho dovuto richiedere Protezione Internazionale per poter restare. Per arrivare al confine sloveno abbiamo quindi preso un bus. Alle 18 abbiamo iniziato a camminare e abbiamo dormito in un bosco fino alle 6 del mattino. Sentivamo i lupi e vedevamo le impronte degli orsi. Avevamo molta paura. Abbiamo dormito in un buco con delle pietre appuntite sperando che avrebbero tenuto lontani gli animali. La mattina abbiamo iniziato a scendere da una collina. Era così ripida che scivolavamo e l’unico freno erano gli alberi. Il bambino mi preoccupava tantissimo, ma mi ripetevo che eravamo lì per il suo bene. In Slovenia eravamo finalmente nell’Unione Europea e allora abbiamo chiamato i poliziotti che ci hanno portato in un centro di accoglienza dove siamo rimasti in attesa di un documento per poter uscire. Una volta ottenuto il documento abbiamo raggiunto il confine italiano e mio fratello è venuto a prenderci per portarci a Bolzano. Mi ha fatto sentire benissimo vedere il confine italo-sloveno: c’era solo un binario, lo passavi ed eri arrivata.

Qual è stato il momento più difficile?
In Russia. È un Paese molto freddo, le persone sono denigranti e razziste. Un giorno mi è stato richiesto di pagare per dormire la notte: sono andata a un bancomat, ma al ritorno mi sono persa e mi si è spento il cellulare. Due poliziotti allora mi hanno fermata e chiesto cosa stessi facendo; non parlando la lingua ho risposto in spagnolo dicendo che mi ero persa. Allora loro hanno utilizzato il telefono per usare il traduttore e così ho potuto spiegare chi ero e che mi ero persa. Loro si sono messi a ridere e a prendermi in giro, si sono accesi una sigaretta e mi hanno ordinato di spogliarmi. La temperatura segnava -28°. Mi hanno anche fatto togliere le scarpe e mettere i piedi nella neve. È stata una delle esperienze più traumatiche della mia vita. Ma ora tutto è passato, mi sento meglio. Tutto ciò che sono riuscita a fare, anche da sola, mi rende orgogliosa: ho iniziato a lavorare, ho sempre lavorato senza sosta, ho trovato casa e mio figlio va a scuola.

Qual è stato il suo pensiero più costante?
Il mio pensiero più costante è stato se sarei arrivata e se sarei arrivata viva. Anche perché scendendo dalla collina in Slovenia ho visto alcune mamme che si buttavano con i figli e che quindi morivano. Con mio figlio sulle spalle vedevo questo e mi chiedevo se, invece, io ce l’avrei fatta.

L’accoglienza a Bolzano com’è stata?
Negli uffici dove sono dovuta andare non sono riuscita a ricevere tutte le informazioni necessarie e mi sono sentita emarginata. Nel centro di accoglienza i bagni non erano divisi e le persone aprivano la tenda quando mi lavavo, è stato traumatico. La Caritas invece mi ha aiutato tantissimo. Così come l’associazione GEA che quando sono stata vittima di violenza domestica mi ha fornito supporto psicologico, un appartamento e assistenza legale nel caso avessi voluto denunciare. Tra le persone “comuni” invece ho incontrato sia persone razziste che persone molto belle.

Suo figlio Andriano come ha vissuto tutte queste cose?
Adriano è stato bravissimo, ogni tanto mi chiedeva dove fossimo e quanto mancava alla destinazione, ma in generale non mi chiedeva niente di più di quanto non gli dessi. Aveva molta paura del buio, non mangiava e non beveva come avrebbe dovuto, io mi preoccupavo, ma lui mi abbracciava. Per tutta quella strada lui mi ha sempre abbracciato. Non so se gli sia rimasto qualcosa di indelebile nella sua memoria. La paura di stare da solo gli è passata, ma quella di dover “tornare lì in montagna” ancora torna. Ciò che mi ha fatto soffrire di più è stato fargli attraversare queste difficoltà, ma so che l’ho fatto per lui. Non avevo altra scelta.

Autrice: Anna Michelazzi

Brennero. Buoni spunti e svarioni. Nevrosi da confine

Messaggio importante per i non altoatesini: in Alto Adige non è obbligatorio parlare in italiano nei locali della Procura o di altri uffici e non è vietato usare la propria lingua in presenza di pubblici ufficiali (semmai è vero il contrario). E non c’è niente di più pubblico e di più ufficiale della doppia lingua.

Non essendo frequentatore assiduo di serie televisive evito di avventurarmi in una critica strutturata degli otto episodi di “Brennero” trasmessi sui canali RAI tra settembre e ottobre 2024. Mi occupo però di storia e di storie e, come spettatore, trovo qui qualche buono spunto di riflessione. Da altoatesino “in missione” a Roma sono inoltre chiamato spesso a rettificare informazioni non corrette.

Come altri conterranei mi sono divertito a cogliere in fallo i sceneggiatori rispetto alla verosimiglianza delle situazioni narrate e a indovinare man mano quali fossero i luoghi proposti nelle immagini. Va detto a questo proposito che gli autori hanno rinunciato a proporre un Alto Adige da cartolina (bravi!), fatti salvi gli immancabili scorci di castelli e campanili. Per una volta non vediamo il Sudtirolo dai colori forti e dai fiori ai balconi, quelli degli intrecci tra la storia – quella grande e quella piccina – e le relazioni umane. Le tinte smorte che caratterizzano tutta la serie descrivono bene quel quid di insano, di malato, che si respira in una terra affetta da quella nevrosi da confine, che ogni tanto si materializza nel “mostro”, come avvenuto a Merano nel 1996.

“Brennero è la storia di due solitudini che si incontrano” (Giuseppe Bonito).

Il racconto è avvincente, gli sviluppi a volte scontati, altre no. Si usa del contesto storico e geografico senza farne la caricatura. Alcune forzature e ingenuità le coglie solo il residente. Come il fatto che la procuratrice Kofler parla sempre in italiano col marito, il prefetto Müller, entrambi di lingua tedesca (al di là del fatto che a Bolzano il Prefetto si chiama Commissario del Governo e difficilmente porterà il nome Müller, come del resto il Presidente della Provincia sarà di rado un Rossi – tutt’al più un Magnago – ma questa è anche una bella domanda da farsi).

Diamo pure a tutto la sufficienza (in particolare per il fatto che alla fine non si capisce bene, come è giusto che sia, che cosa è il Sudtirolo) tranne però a queste due scene, che rafforzano un pregiudizio e confondono le norme con la loro attuazione. Prima scena: la procuratrice Kofler all’ispettrice Pichler negli uffici della Procura: “Scusi può passare all’italiano per favore? È una regola che vale per tutti”. Seconda scena: l’ispettore Costa a casa del signor Berger: “La invito comunque a rivolgersi a due pubblici ufficiali in lingua italiana”.

Qui il voto è insufficiente. Perché? Come in ogni buon giallo, non diamo la soluzione ma solo qualche indizio. La risposta si trova agli articoli 99 e 100 dello Statuto di autonomia del Trentino Alto Adige (che è Legge costituzionale e si trova facilmente in rete).

Autore: Paolo Bill Valente

La piazzetta di Bolzano dedicata a Darwin

Una delle due piazzette dalle quali si può accedere alla Libera Università di Bolzano è dedicata al naturalista inglese Charles Robert Darwin. 
Nato il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury (Regno Unito), frequentando le scuole primarie fu affascinato da un libro del naturalista Gilbert White (1720-1793); iniziò a collezionare insetti, rocce e minerali, ad osservare gli uccelli. Ammesso nel 1818 alla rinomata Shrensbury School, nel tempo libero collezionò uova di uccelli e fece esperimenti chimici. Dal 1825 al 1827 frequentò la Facoltà di Medicina dell’Università di Edimburgo; fu anche in mare con i pescatori di ostriche e compì ricerche negli stagni locali. Presentò la prima relazione scientifica alla Plinian Society. Al Christ’s College dell’Università di Cambridge fu indirizzato da personalità scientifiche verso la storia naturale. L’occasione della vita fu la spedizione intorno al mondo con il brigantino HMS Beagle; viaggiò nel tempo, per cinque anni, nello spazio, Isole Capo Verde, Falkland, Galapagos, Coste del Sudamerica, Australia. Delle numerose osservazioni su flora e fauna, sulle formazioni geologiche, fece relazione ufficiale, pubblicata con il titolo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”. La teoria di Darwin, avvalorata da osservazioni compiute nei campi dell’anatomia comparata, dell’embriologia e della paleontologia, è universalmente accettata nell’ambito biologico. Nel 1859 pubblicò il capolavoro “L’origine delle specie attraverso la selezione naturale”, che trovò vasta accoglienza tra gli scienziati. Furono otto le edizioni mentre Darwin era vivo; in italiano fu tradotto nel 1864. Darwin pubblicò altri trattati scientifici, sviluppando altri temi. L’opera di Darwin fu molto apprezzata dalla comunità scientifica. Non mancarono i pubblici riconoscimenti. Sposatosi nel 1839 con Emma Wedgwood, la coppia ebbe dieci figli; trasferiti da Londra a Downe, nel Kent, Charles Darwin vi morì il 19 aprile 1882. Ebbe funerali di Stato, con sepoltura nell’Abbazia di Westminster.

Autore: Leone Sticcotti

Jemm: dove il ritmo pulsa e crea

Questo 2024 che va concludendosi è senz’altro stato un anno molto importante per il sestetto bolzanino Jemm, fondato da Max Castlunger e Marco Stagni e di cui ora fanno parte anche Matteo Cuzzolin, Hannes Mock, Mirko Pedrotti e il nuovo arrivato Andrea Polato. I Jemm sono – a ragione e insieme al quartetto di Herbert Pixner – una delle formazioni strumentali più blasonate della nostra terra.

Pulse è uscito in questi giorni per la neonata etichetta 12Ville, che fa capo a Wilfried Gufler, ed è stato registrato come i precedenti presso il Cat Sound Studio di Badia Polesine. L’album mette sul piatto sette brani nuovi di zecca. “Il Cat Sound – ci racconta Castlunger – è ideale per il budget che abbiamo e per quello di cui abbiamo bisogno: siamo una formazione che suona dal vivo, sempre, e quindi ci serve un posto dove tutti possiamo avere una cabina in cui suonare, contemporaneamente agli altri, e non sono molte le sale attrezzate per questo. Le composizioni incluse nel disco sono firmate prevalentemente da me, ma ci sono anche contributi di Matteo Cuzzolin e del vibrafonista Mirko Pedrotti. Inoltre, per quanto mi riguarda, oltre agli strumenti a percussione che suono di solito, qui uso anche un cordofono asiatico molto curioso; ha le corde che si percuotono schiacciando dei bottoni che sembrano i tasti di una macchina da scrivere, e ci posso poi attaccare effetti come delay e wahwah, però non posso fare accordi!”.

Il disco oltre che sul groove tipico dei Jemm, conta molto anche sulla varietà musicale a livello stilistico, si sente infatti la presenza dei tre autori diversi. Il brano Cassiopea, composto da Cuzzolin, oltre ad essere caratterizzato dal suo inconfondibile stile col sax, ricorda in qualche modo le composizioni delle colonne sonore dei film di James Bond. Nell’album c’è per la prima volta anche un brano di Mirko Pedrotti, che s’intitola Takatakatum ed è giocato su una serie di incastri musicali.

“L’artwork del disco – prosegue Castlunger – è della nostra amica Elisa Grezzani che ha anche creato i disegni delle nostre camicie: ci è sempre piaciuto vestire in modo colorato, perché il colore è una delle caratteristiche di quanto suoniamo, però stavolta volevamo qualcosa di diverso rispetto ai classici temi floreali hawaiani o indonesiani. Ed Elisa è davvero riuscita a fare un lavoro originale.”

Si diceva in apertura di come questo sia stato un anno intenso per i Jemm: la scorsa primavera, i sei musicisti sono stati invitati ad un prestigioso festival in Marocco. Tutto è nato dalla loro partecipazione ad un’analoga manifestazione a Bruxelles, due anni fa. I due eventi hanno lo stesso direttore artistico che, dopo aver visto in azione il sestetto, ha ben pensato di inserirne il nome tra le sei band europee invitate a Rabat per suonare in una specie di fortezza dell’epoca romana, nel corso di un jazz festival che va in scena da trent’anni.

“È stata un’esperienza fantastica – commenta il percussionista – siamo stati accolti come star, tutto era pagato, prelevati in aeroporto con un pulmino, portati in albergo. Una cosa mai vista. Secondo il programma le band europee ospiti suonano anche in jam session con formazioni marocchine di musica gnawa, un genere a base di basso, voce e una specie di nacchere. Loro hanno eseguito le musiche della loro tradizione e noi ci siamo inseriti con la nostra strumentazione. Il bello è che non è una cosa per stranieri e turisti, il pubblico è soprattutto locale. Per di più, dopo il concerto c’è stata una session in albergo ed io sono arrivato dopo gli altri. Tutto l’entourage era già lì e anche qualche appassionato: nel momento in cui sono entrato qualcuno mi ha riconosciuto e ha richiamato l’attenzione degli altri indicandomi, la musica si è fermata, il pubblico è scattato in piedi applaudendomi, ed io lì ammutolito a bocca aperta!”

Per il pubblico altoatesino invece, i Jemm presenteranno in esclusiva il loro disco sabato 19 ottobre all’UFO di Brunico e il sabato successivo, 26 ottobre, a Collepietra nell’ambito della rassegna Steinegg Live.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Pesto di basilico

Ingredienti

basilico fresco
40 g parmigiano grattugiato
35 g pinoli
4 g aglio
80 ml olio extravergine di oliva
sale fino

Preparazione

Laviamo il basilico sotto l’acqua corrente e asciughiamolo per bene con un canovaccio pulito; facciamo questa operazione molto delicatamente cercando di non spezzare le foglie e di eliminare completamente tutta l’acqua.
Mettiamo il basilico nel boccale di un frullatore.
Versiamo l’olio nel frullatore insieme a un pizzico di sale, all’aglio e ai pinoli.
Frulliamo a intermittenza per qualche secondo; in questo modo il pesto non si scalderà troppo, mantenendo il suo colore verde brillante.
Aggiungiamo infine il formaggio grattugiato e frulliamo a intermittenza fino a ottenere la giusta consistenza.
Otterremo un pesto cremoso e bello verde!
Con le dosi della ricetta otterremo circa 250 grammi di pesto. Possiamo usarlo subito per condire un piatto di pasta o preparare una torta salata, oppure conservarlo per un paio di giorni in frigo. Se vogliamo possiamo anche congelarlo direttamente nel vasetto.

Consigli

La ricetta del pesto si può personalizzare in tanti modi:
per un gusto più delicato, possiamo farlo senza aglio, mentre per dargli un gusto più audace possiamo usare il pecorino come formaggio grattugiato.
Si possono usare anche altri tipi di frutta secca, per esempio noci o mandorle.
Olte a quello di basilico si può fare quello di zucchine, di rucola, di sedano e così via.

Conservazione

Vi consigliamo di farlo sul momento e usarlo tutto.
In frigorifero, dentro barattoli sterilizzati con chiusura ermetica e olio in superficie, durano qualche giorno. Per una durata maggiore lo possiamo mettere in freezer in contenitori ermetici.