Aubet Cubet Quere: la chiesa parrocchiale di San Giacomo a Maranza

È il fascino delle tradizioni, la sacralità delle processioni e la leggenda di tre vergini dai nomi esotici, Aubet, Cubet e Quere, a portarci a 1410 metri su un altipiano panoramico affacciato sulla val Pusteria ove sorge la chiesa di San Giacomo di Maranza. L’edificio, riconsacrato nel 1780, poggia su una preesistente chiesa medievale ed è il risultato dell’ingrandimento della chiesa tardogotica consacrata nel 1472. È a pianta longitudinale e a navata unica.

Già i pellegrini e i viaggiatori del passato vi facevano meta e le loro firme, graffiate sull’intonaco dell’imponente san Cristoforo affrescato sulla parete meridionale del campanile, ne sono vivida testimonianza. L’affresco, che risale alla fine del XV secolo, presenta un’iconografia particolarmente interessante: l’uomo di Cananea, Cristoforo, appare «gigantesco e terribile in volto», proprio come riporta la Legenda Aurea; si muove lento sotto il pesante fardello: «sulle tue spalle tutto il mondo e il suo creatore», appoggiandosi con forza al suo bastone, mentre le acque si ingrossano sempre più. All’estremità del bastone sono visibili le radici che preludono alla prova che Gesù volle dare di sé a Cristoforo: «Per convincerti che io ti ho detto il vero, pianta il tuo bastone davanti alla tua capanna e domani vedrai che avrà fatto fiori e frutti». Il mantello scarlatto al vento ne ingrandisce ulteriormente la figura; la veste è raccolta in vita da una cintura dalla quale pendono, come per i pellegrini, una bisaccia contenente una bella pagnotta e un coltello. Le gambe massicce del santo affondano nelle acque gremite di strane creature marine con corpi di pesce e volti umani, oppure di pesci dalla conformazione fisica più stravagante. Fra tutti spicca la bella sirenetta dalla raffinata testolina coronata, simbolo però del male e della malizia sessuale, e quella del mostro marino dal volto aguzzo e barbuto con lo sguardo furbetto e la dentatura feroce. 

Ma c’è dell’altro. Sul fondo dell’affresco fra le numerose firme e date spicca quella di un certo: Luzio Pacinelli da Bergamo 1596. Chi era? E dove era diretto? Infine è da notare che al posto dell’alluce del santo ora è ben visibile un buco dovuto al secolare grattare delle donne gravide che, secondo la credenza locale, da quei granelli di malta “sacra” avrebbero tratto la forza necessaria al parto.

All’interno della chiesa l’occhio è rapito dalla ridondanza delle forme rococò ideate, nella seconda metà del XVIII secolo, dall’architetto enipontano Josef Abenthung, dai ricchi decori a stucco, dai vistosi altari policromi e dagli eleganti affreschi delle cupole, opera del pittore Johann Mitterwurzer.

Ma è all’altare di destra, alle tre statue lignee di Aubet, Cubet e Quere, che volgiamo l’attenzione. Delle tre Vergini di Maranza si narra che siano vissute al tempo in cui Attila, re degli Unni, che metteva a ferro e fuoco tutta Europa distruggendo tutto ciò che incontrava e ammazzando tutti coloro che non si piegavano al suo volere. Da secoli le tre martiri sono oggetto di venerazione, il loro culto, forse in qualche misura collegato con quello di divinità femminili pagane di origine celtica, si diffuse soprattutto nelle terre germanofone. La prima menzione della devozione per le tre Vergini a Maranza risale al 1382 e, per quanto attiene ai pellegrinaggi, esiste un’indulgenza pontificia datata 30 marzo 1500. 

L’intreccio tra la storia della città e il secolo del “Carducci”


Venerdì 18 ottobre il liceo “Giosuè Carducci” di Bolzano festeggia il suo centenario con un’intensa giornata di incontri, testimonianze, eventi teatrali e musicali. Viene anche inaugurata una mostra storica che ripercorre le vicende di questo liceo, strettamente intrecciate a quelle della nostra comunità cittadina. Ne parliamo con il curatore, lo storico Carlo Romeo, che ha conosciuto il “Carducci” prima come studente e poi, da oltre un trentennio, come docente.

Cent’anni sono un traguardo importante per una scuola italiana nella nostra provincia… 

Insieme all’istituto tecnico “Battisti”, il “Carducci” è la più antica scuola secondaria in lingua italiana nata a Bolzano. Sono nati insieme, nel 1919, condividendo la stessa unica aula e, per le materie comuni, gli stessi insegnanti. Infatti, anche se l’istituzione del “Regio Liceo” è del 1924, il ginnasio, le cui prime tre classi corrispondevano alle attuali scuole medie, nasce subito dopo l’annessione dell’Alto Adige al Regno d’Italia. 

Qual era il contesto in cui è nato il “Carducci” nel 1924? 

Negli anni Venti è un piccolo liceo potremmo dire “di confine”. In quel periodo il regime fascista inaugura una politica di italianizzazione e vengono chiuse le scuole tedesche. Per questo tra i suoi diplomati troviamo fino al 1943 molti alunni di lingua tedesca. I numeri crescono nella seconda metà degli anni Trenta di pari passo con il rapido incremento della popolazione di Bolzano. Dal punto di vista sociale, le famiglie degli alunni sono più varie di quello che generalmente si pensa; non solo la borghesia medio-alta, ma anche le categorie dei piccoli impiegati, commercianti, tecnici etc. Del resto, all’epoca, il diploma di maturità classica era l’unico che consentiva l’accesso a tutte le facoltà universitarie. 

Quali le principali novità nel secondo dopoguerra?

La storia di una scuola riflette tutte le metamorfosi della società e ciò vale anche per il “Carducci”. Per fare un esempio, dagli anni ‘60 cresce il numero delle alunne che supererà presto quello dei maschi e le classi sono finalmente “miste”. Gli studenti ottengono o si prendono nuovi spazi (assemblee, giornalini scolastici) e nel 1969 e 1977 ci sono due occupazioni. Ovviamente anche sul piano dell’offerta didattica si susseguono nei decenni radicali novità. Ad esempio, un momento importante è il 1994 con la nascita dell’indirizzo linguistico, che ha subito molto riscontro. Oggi il liceo è “classico e linguistico”.

La storia di una scuola è anche storia delle sue sedi, che rimangono nella memoria di chi le ha frequentate.

La sede “storica” è stata in Piazza Domenicani dal 1924 al 1972, anno in cui il liceo si trasferì nel nuovo edificio di Via Manci. Nel 2010 esso fu abbattuto per essere ricostruito ex novo, non prima però che centinaia di ex carducciani si ritrovassero per ripercorrere insieme i corridoi, le aule, i luoghi impressi nella memoria.

Ci sono figure di presidi o docenti di particolare riferimento per la storia del liceo?

Così tanti che è impossibile qui selezionarne alcuni. Per fare qualche nome tra i presidi, Carlo Busato ha retto il liceo in tempi difficili (guerra e dopoguerra), Claudio Nolet ha il record della presidenza più lunga (quasi un ventennio), Vito Mastrolia ha guidato la nascita dell’indirizzo linguistico. Tra i docenti, uno per tutti: Francesco Moggio, il cui originale stile di insegnare i classici greci e latini (dal 1938 al 1974) ha appassionato generazioni di studenti. A lui è intitolata la biblioteca del liceo.

Autore: Luca Sticcotti

Sport e Inclusione: un’iniziativa unica al KIMM di Cardano

Il 23 settembre, il centro diurno KIMM di Cardano ha ospitato un evento straordinario, unendo atleti di alto livello e persone con disabilità in un’esperienza di inclusione e creatività. Questo progetto, parte del programma “Great Season” della Südtiroler Sporthilfe, ha visto la partecipazione di noti sportivi dell’Alto Adige, tra cui la biatleta Federica Sanfilippo e la saltatrice con l’asta Nathalie Kofler, insieme a utenti del centro, impegnati in attività artistiche e sportive.

La mattinata è stata ricca di emozioni: da un lato, gli utenti hanno avuto l’opportunità di esprimersi attraverso la pittura, creando due opere dedicate agli anelli olimpici, simbolo di unità e diversità. Dall’altro, hanno potuto divertirsi in palestra, praticando attività come bowling e slittino indoor, sempre sotto la supervisione di esperti.

“È stato emozionante vedere quanto si divertano e come riescano a esprimere la loro creatività,” ha commentato Nathalie Kofler, evidenziando l’importanza di queste interazioni. Le opere realizzate saranno successivamente messe all’asta, con il ricavato destinato a un’associazione benefica che supporta le persone con disabilità.

Questo incontro rappresenta molto più di una semplice giornata di attività: è un passo significativo verso l’inclusione. Gli utenti del centro, affetti da sindrome di Down, disturbi dello spettro autistico e patologie psichiche, hanno dimostrato che, grazie al supporto e alla sensibilità degli sportivi, possono vivere momenti di gioia e realizzazione. L’ansia iniziale che alcuni di loro hanno provato è stata superata dall’accoglienza e dalla disponibilità degli atleti, creando un ambiente di fiducia e rispetto reciproco.

Il programma “Great Season” mira non solo a formare sportivi di alto livello, ma anche a farli diventare ambasciatori di responsabilità sociale. Attraverso queste iniziative, gli atleti possono applicare le competenze di resilienza e leadership acquisite nello sport anche nel contesto sociale, contribuendo a sensibilizzare la comunità sulle tematiche legate alla disabilità.

L’evento al centro diurno KIMM ha dimostrato quanto siano significative le piccole cose nella vita. Gli atleti hanno raccontato di come l’interazione con le persone del centro abbia arricchito la loro esperienza, offrendogli nuove prospettive. “Ciò che può sembrare semplice per noi è in realtà molto importante per loro,” ha affermato Kofler, sottolineando l’importanza di momenti come questi nel promuovere una società più inclusiva.

In conclusione, l’incontro tra sport e arte al KIMM non è solo un esempio di come sia possibile unire mondi apparentemente distanti, ma rappresenta anche un modello di inclusione e solidarietà, essenziale per costruire un futuro in cui tutti possano sentirsi parte integrante della comunità.

Autore: Niccolò Dametto

Superpotere pazienza

Qui Intervista a Oswald Stimpfl, classe ‘46, nato a San Genesio dove i genitori si sono trasferiti nel periodo della guerra, ed è cresciuto a Bolzano. Escursionista (ancora) instancabile, percorre in lungo e in largo – a piedi, in bici, con gli sci e le pelli di foca, con le racchette da neve – l’Alto Adige e le province limitrofe. Nelle sue guide – ne ha scritte una cinquantina – vuole rendere partecipi i lettori delle sue esperienze, che abbracciano gastronomia, vino, arte, cultura ed escursionismo.

La cosa di me che mi piace di più.

La curiosità.

Il mio momento più felice.

Se la felicità è la somma dei momenti belli, io li sto ancora sommando.

Da bambino sognavo di diventare…

Maestro come mio padre.

La mia occupazione preferita.

Studiare le mappe per pianificare viaggi e gite. E poi sfogliare e leggere libri di storia,

Il luogo dove vorrei vivere.

Sto bene San Genesio presso Bolzano, è il posto migliore per me.

Il mio piatto preferito.

Sono un appassionato di dolci:              tiramisù.

Non sopporto…

Le critiche inguistificate.

Per un giorno vorresti essere…

Una donna, forse così potrei capirle meglio.

Nel mio frigorifero non manca mai…

Il vino rosso locale schiava, mi piace berlo fresco.

Se fossi un animale sarei…

Un rapace, per planare e osservare il mondo dall’alto.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

Quando ho tenuto tra le mani il primo libro che ho scritto.

Dove mi vedo fra dieci anni.

Vista la mia età, penso in periodi di tempo più brevi.

L’ultima volta che ho perso la calma.

Non voglio ricordarmelo, lo reprimo.

Tre aggettivi per definirmi.

Irrequieto, curioso, socievole.

La prima cosa che faccio al mattino.

Accendere la radio.

Il mio film preferito.

A perfect day di Wenders.

Il superpotere che vorrei avere.

La pazienza.

Il mio sogno ricorrente.

Sto guidando la macchina in discesa e i freni non funzionano.

Il mio ultimo acquisto.

Un’auto elettrica.

Cosa apprezzo di più del luogo in cui vivo?

Il panorama, la vicinanza alla città, i vicini simpatici.

L’errore che non rifarei.

Vendere la Bianchina Cabriolet d’epoca.

La grande danza e il teatro nella proposta di spettacolo in regione


INSERZIONE PUBBLICITARIA – La proposta del Circuito Danza del Trentino-Alto Adige curato dal Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento approda anche quest’anno in Alto Adige con un denso calendario di appuntamenti che partirà da Bolzano, tra il Teatro Cristallo e il Teatro Comunale, arrivando a toccare anche i comuni di Bressanone, Merano e Vipiteno.

Particolarmente ricca la proposta al Teatro Comunale di Bolzano, che vedrà in scena la Compagnia Zappalà Danza Après-midi d’un faune| Bolero| Le Sacre du printemps (12 novembre), la trilogia dell’estasi firmata da Roberto Zappalà, mentre il 22 novembre toccherà al Balletto di Milano con il Gran Gala del Balletto, un viaggio nel mondo della danza che spazia dai grandi classici al repertorio neoclassico della compagnia. A seguire, il 24 novembre (Teatro Studio-Teatro Comunale), spazio alla Compagnia Abbondanza/Bertoni, una tra le realtà più prolifiche del panorama italiano, con lo spettacolo Viro, mentre dal 28 novembre all’1 dicembre arriverà a Bolzano la Compagnia Opus Ballet con Sogno di una notte di mezza estate, una produzione che celebra William Shakespeare, racchiudendo musica classica, drammaturgia e danza contemporanea. Il 4 gennaio salirà sul palco del Comunale il Russian Classical Ballet con un classico del balletto come il Lago dei cigni (con le coreografie di Marius Petipa), che lascerà successivamente spazio a Silvia Gribaudi e alla MM Contemporary Dance Company e al loro Grand Jetè (18 gennaio), un progetto coreografico che esplora la fine come fonte di nuovi inizi. Il 25 febbraio andrà in scena C’era una volta Cenerentola, una delle produzioni di maggior successo firmate dal Balletto di Roma (con la coreografia di Fabrizio Monteverde), mentre il mese di marzo vedrà infine protagonista il Balletto dell’Opera Nazionale di Bucarest con il celebre balletto Romeo e Giulietta nella versione firmata da Renato Zanella (4 marzo). Ultimo appuntamento al Teatro Comunale, dal 27 al 30 marzo, con Assembly Hall, il nuovo lavoro di teatro-danza della compagnia canadese Kidd Pivot che esplora il bisogno umano di comunità e appartenenza, tra movimento e linguaggio, umorismo e creatività. E al Teatro Comunale di Gries, il 14 febbraio, ci sarà spazio anche per il lavoro del Balletto Civile dal titolo Davidson, liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo Pasolini.

Dopo il successo della scorsa stagione, il Teatro Cristallo di Bolzano sarà grande protagonista anche quest’anno con titoli e coreografi di assoluto prestigio: ci sarà la Compagnia Naturalis Labor con una serata dedicata al celebre ballo argentino dal titolo Tango Gala (4 dicembre), il Balletto di Siena con un classico natalizio senza tempo come Lo Schiaccianoci (23 dicembre), RBR Gli illusionisti della Danza con lo spettacolo volto a sensibilizzare il rispetto per l’ambiente e incentrato sull’acqua H₂OMIX (19 febbraio), oltre a Solo Goldberg Variations, manifesto dell’arte coreografica di Virgilio Sieni (14 marzo), e a Amour, acide et noix il 19 marzo, spettacolo firmato dal coreografo canadese Daniel Léveillé che parla di solitudine ma anche e soprattutto dell’infinita tenerezza del tocco, della durezza della vita e del desiderio d evitare o fuggire da questi corpi, spesso così pesanti.

Ma la programmazione del Centro in Alto Adige non si limita a Bolzano e andrà a toccare i comuni di Bressanone, Vipiteno e Merano, con tre compagnie di caratura internazionale: la Evolution Dance Theater con Blu Infinito, la MM Contemporary Dance Company con Ballade, e il Balletto di Siena con The great pas de deux. 

La Stagione Regionale Contemporanea

Un’unica Stagione tra Bolzano e Trento

Parallela alla tradizionale stagione, si snoda da novembre a marzo la terza edizione della Stagione Regionale Contemporanea realizzata in collaborazione tra il Centro S. Chiara e il Teatro Stabile di Bolzano, con un ricco cartellone di spettacoli tra Trento e Bolzano. 

Tra i protagonisti in Stagione quest’anno è possibile trovare la compagnia ravennate ErosAntEros, Babilonia Teatri (vincitrice del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2016), la Compagnia Abbondanza/Bertoni, i coreografi canadesi Clara Furey e Daniel Léveillé, i promettenti artisti italiani Leonardo Manzan e Rocco Placidi, la Compagnia Kepler- 452, i coreografi Aurora Bauzà e Pere Jou, e l’Ensemble Azione_Improvvisa, protagonista del debutto di “Nova Selva Sonora”, progetto che si avvale delle musiche di Mauro Lanza, Andrea Valle e Daniela Fantechi.

(inserzione pubblicitaria)

Josef Mayr-Nusser. Coscienze che sanno a chi dire di no

Ottant’anni fa, nell’aula cupa della caserma di Konitz, dove si stava concludendo il periodo di addestramento, il bolzanino Josef Mayr-Nusser, arruolato suo malgrado nelle SS, chiese la parola e, sotto lo sguardo atterrito dei compagni, disse che lui il giuramento di fedeltà a Adolf Hitler non lo avrebbe pronunciato.

Era consapevole, il giovane padre di famiglia, che avrebbe pagato caro quel “no”. Lo sapeva bene anche la moglie Hildegard, con la quale Josef aveva condiviso le motivazioni di una scelta che i più non avrebbero compreso o, meglio, avrebbero fatto finta di non capire. Nel nome di quella ideologia “etnica” che Mayr-Nusser, da dirigente dell’Azione cattolica, aveva stigmatizzato già nel luglio del 1938, l’anno delle leggi razziali. “Il singolo ha valore esclusivamente in quanto membro del corpo etnico”.

Josef Mayr-Nusser obiettore di coscienza. Di più: testimone della coscienza. È bene sottolineare che il suo “no” non fu contro l’uso della forza né contro gli eserciti in sé. La teoria e le pratiche della nonviolenza moderna stavano facendo allora i primi passi, lontano dall’Europa. Josef pronunciò quel “no” contro le ideologie di morte al servizio delle quali si pretendeva che uomini come lui prestassero giuramento promettendo “obbedienza fino alla morte”. Niente di più attuale.

Josef Mayr-Nusser, assieme ai giovani dell’Azione cattolica, aveva formato la sua coscienza al discernimento. A distinguere le idee e le scelte che conducono al bene comune da quelle che hanno come unico scopo il raggiungimento e il mantenimento del potere, come le farneticazioni che Adolf Hitler, ormai da vent’anni, aveva affidato alle pagine del Mein Kampf.

Anche oggi è quanto mai necessario sviluppare coscienze capaci di distinguere, attraverso le nebbie della propaganda, quegli elementi ideologici che vogliono tenere accesi i focolai di guerra, che inducono gli esseri umani alla violenza e alla sopraffazione, che negano la libertà, la dignità umana, l’uguaglianza e la vita.

Autore: Paolo Bill Valente

Valori

Recentemente mi è capitato di fare una riflessione personale sul significato della parola “valore”. Sono partito dai valori delle “cose” ma ben presto mi sono spostato sull’altro significato di questa parola, riflettendo sugli “ideali che orientano le nostre scelte morali”.
Ebbene: sono stato subito colpito da una ventata di anacronismo; ho avuto la sensazione che questo tipo di dimensione sia stata di fatto archiviata nel passato, quasi come se ce la fossimo lasciata definitivamente alle spalle. Non convinto – forse spinto dal mio innato anticonformismo – ho deciso di ricorrere ancora una volta all’enciclopedia Treccani – tra l’altro nella sua versione “ragazzi” – facilmente consultabile online, e ho trovato la seguente definizione.
“Valori sono i princìpi che i singoli individui o una collettività considerano superiori o preferibili. Essi vengono utilizzati come criterio per giudicare o valutare comportamenti e azioni. I valori si connettono in vario modo con la realtà sociale e politica, con l’organizzazione economica e giuridica, con le tradizioni, i costumi e i simboli di una collettività, e quindi mutano nelle varie culture ed epoche storiche.”
Ebbene: quali sono i nostri valori, oggi? E in quale misura sono condivisi?
Il nostro vivere comune, codificato dalle regole che ci diamo, man mano, recentemente deve fare sempre di più i conti con un approccio individualistico che tende a rimettere in discussione tutta una serie di principi che per decenni avevamo dato (quasi) per scontati. Si tratta di un individualismo diffuso che sta contagiando anche le nostre comunità, spingendole a ripiegarsi su sé stesse sulla difensiva, producendo sovranismi di ogni genere e ad ogni livello.
I conflitti in corso in Medio Oriente e in Ucraina, che ipocritamente non vengono nemmeno chiamati guerre, a mio avviso sono figli di questo passo indietro che ha reso ormai irrilevante ogni meccanismo che avevamo messo in atto per cercare di arginare questi pericoli globali (Onu).
Leggendo la Treccani dei ragazzi personalmente mi sono vergognato, immaginandomi i pensieri che possono fare i nostri figli e nipoti osservando i nodi irrisolti della nostra cosiddetta “civiltà”.
“Urge uno scatto d’orgoglio”, si sarebbe detto una volta. In realtà si tratta solo di tornare ad essere responsabili di quello che stiamo facendo. Individualmente e collettivamente.

Autore: Luca Sticcotti

Singoli e scampoli

Vediamo insieme alcune piccole novità musicali da non sottovalutare, che sono giuste con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

L’estate, nominalmente, è finita. A dire il vero era finita anche prima dei termini stabiliti per legge, ma tant’è dovremmo essercene fatti una ragione da un pezzo: che l’autunno sia diventato un’opinione, più che una stagione, sembra un dato di fatto.

Ma come? Una volta – per quanto riguardava il mondo delle sette note e nella fattispecie i dischi – l’autunno era la stagione foriera di novità, la gente tornava dalle vacanze e i tormentoni estivi si erano consumati, c’era bisogno di musica nuova con cui affrontare il futuro. Ma ora senza più autunno non ci sarà più musica?

È presto per dirlo, intanto ci possiamo ancora godere alcuni scampoli da non sottovalutare che sono arrivati con l’ultimo scorcio della breve ma torrida estate 2024.

Ecco quindi Carole il debutto a tutto tondo di Valentina Furegato. La cantautrice bolzanina in realtà aveva già pubblicato qualcosa su youtube durante il famigerato lockdown del 2020, quando molti artisti – non solo nella nostra regione – si davano da fare per non rimanere inattivi del tutto. Carole però è il suo primo vero singolo, con video professionale, produzione adeguata e una marcia in più. Il brano è stato composto insieme a Mario Punzi e la produzione è affidata ad un altro bolzanino, Valerio De Paola. Il risultato è una canzone gradevole, a modo suo estiva, leggera ma con una storia d’amicizia al femminile non scontata, come il video stesso ci racconta. Il brano prelude ad un intero EP che dovrebbe vedere la luce nei primi mesi del prossimo anno. Valore aggiunto, visto che Valentina Furegato è anche ballerina e coreografa, sono le coreografie create per il video insieme ad Anna Mattiuzzo, che tra l’altro nel video diventa la Carole della canzone.

Il 10 settembre è uscito anche il nuovo singolo di Alice Ravagnani, altra bolzanina frequentatrice del bel canto che lo scorso anno ci aveva consegnato un interessante EP con cinque brani, uno dei quali, WEH, era stato lanciato con un video in cui le coreografie erano opera proprio di Valentina Furegato. Rispetto al brano pop di quest’ultima però, la Ravagnani preferisce appoggiarsi a sonorità indie, con una chitarra acustica lo-fi su cui la sua voce dà vita ad una canzone d’amore tormentato e gridato in un refrain in cui la voce cresce disperatamente, facendo il paio con la chitarra elettrica.

A cavallo tra indie e pop c’è invece il singolo di un’altra cantautrice della nostra regione, di Lana per essere precisi, la giovanissima Thessa Longobardi che ha postato il singolo Time su youtube, dove è presente anche come flood blogger e video maker.

Chiudiamo questa breve rassegna dedicata ai singoli con la voce di un’altra donna della musica locale: Laura Coller, di Egna, è la voce acutissima della band heavy metal Sign of The Jackal, di base in parte nella Bassa Atesina e in parte a Rovereto. Il gruppo sulla breccia da parecchi anni, sta tornando con un nuovo disco che uscirà col titolo di Heavy Metal Survivors per l’etichetta germanica Dying Victims Productions. Il disco è anticipato da un singolo intitolato Breaking The Spell (anche in questo caso, come per gli altri qui citati, reperibile su youtube), e a giudicare dalla pasta di cui è fatto il singolo, il disco promette davvero di essere in tutto e per tutto nella scia di quell’heavy metal degli anni ottanta, tornato prepotentemente alla ribalta nell’ultimo decennio.

Autore: Paolo Crazy Carnevale

Le memorie di guerra dell’aviere Fratini

La storia la scrivono i vincitori e i veri protagonisti raramente hanno la possibilità di dire la loro. Non è questo il caso di un  cittadino di Laives, Giovanni Fratini, che ha raccolto in un breve diario le sue terribili esperienze di guerra e di prigionia. 

Giovanni Fratini nacque a Civitella d’Agliano (VT) nel 1922. Orfano di entrambi i genitori, nel 1933 raggiunse a Laives la sorella Lina, sposata con Quinto Dallapiazza, bracciante presso la tenuta agricola dei Campofranco. 

Il ragazzo trovò impiego presso il negozio di generi alimentari delle sorelle Conci di San Giacomo ma nel 1942 venne arruolato come aviere a La Spezia. Rifiutatosi di aderire alla Repubblica di Salò, il 10 settembre 1943 venne fatto prigioniero e internato in Germania. 

Rientrò a Laives solo dopo tre anni per riprendere il suo lavoro in bottega. Nel 1953 sposò la maestra Livia Joris, insegnante di italiano a Laives e Seit (che doveva raggiungere a piedi). Morì a San Giacomo nel 2009.

Il manoscritto porta il titolo “Piccolo Diario e Appunti su quella che fu la mia movimentata vita militare e conseguente prigionia di guerra”. 

Inizia l’11 giugno 1942: “Nelle ore antimeridiane mi presentai al centro affluenza dell’aeroporto di Bolzano, ove verso sera abbiamo avuto in consegna il corredo”. Il giorno seguente la compagnia raggiunge La Spezia. I due mesi di addestramento sono segnati dalla nostalgia di casa “sopportata con rassegnazione”.  Manca il cibo, la debolezza inizia a farsi sentire. Il 20 luglio “Giuramento, giorno di festa (povera festa però)”. 

Il 6 Agosto si parte per Bologna, aeroporto di Borgo Panigale. Il servizio consiste nelle “ronde attorno al campo di aviazione”. Finalmente il 25 agosto arriva il primo permesso di due giorni. Verso la fine di ottobre cambia il servizio: “Si monta di sentinella agli apparecchi decentrati”. Con l’arrivo dell’inverno, il servizio si fa duro. La nebbia e il gelo segnano le notti. Dopo un periodo di malattia e convalescenza, Giovanni trascorre un mese a casa (“che sogno”). il 16 luglio Bologna viene bombardata, la paura è tanta.

Il 24 luglio nuovo bombardamento, poi continui allarmi per tutta la prima metà del mese di settembre. 

“8 settembre: alle 8 di sera ci giunge la notizia della resa da parte italiana; riceviamo immediatamente l’ordine di smontare dal servizio e riunirci per far fronte a qualunque forza estranea tentasse di entrare nel campo. Il 9 settembre alle 6.10 carri armati tedeschi penetrano in varie parti del campo. Breve sparatoria”.

 Si depongono le armi, qualcuno tenta la fuga in campagna. “Incolonnati e scortati raggiungiamo la città.” Inizia la lunga, terribile prigionia. Verso la fine di luglio e nel mese di agosto le incursioni anglo-americane si susseguono giorno e notte. Il 10 settembre Giovanni scrive: “Questa notte si ha dormito così così… fuori, qualche raffica di mitra e vari colpi di altre armi da fuoco”. 

Il 15 settembre si parte da Bologna: “destinazione ignota”. “È  questo uno dei momenti più dolorosi – scrive commosso Giovanni – quanto strazio nel nostro cuore”. 

Saliti sui vagoni merci in 40-50 per vagone, inizia “quel viaggio triste… la popolazione accorre al nostro passaggio facendoci dono di cose preziose come pane, salame e uova.” Il 16 settembre si arriva in Germania, la sete si fa sentire e si beve l’acqua “che scola dal tetto del nostro vagone: sporca, sabbiosa ma comunque buona”.

Il viaggio prosegue fino al 18 quando si raggiunge un campo di concentramento a 60 chilometri da Hannover. La vita è durissima, mancano i viveri. Poi il trasferimento a Barum, a 18 chilometri da Braunschweig. Si lavora in una fabbrica di zucchero. “I giorni eternamente lunghi passano lentamente senza poter vedere alcuna via d’uscita”, si dispera Giovanni. Scrive diverse lettere ai familiari e rimane in attesa della risposta. Cambiano le mansioni, ci sono da sgomberare le macerie di una fabbrica bombardata o levare le tegole da un tetto. Da casa arriva un primo pacco, la gioia è grande. I bombardamenti si fanno  sempre più intensi, si cerca di procurarsi quale tozzo di pane lavorando negli orti delle famiglie del paese. Le mansioni dei prigionieri cambiano continuamente, il cibo non è mai sufficiente. “Solo la fede ci sorregge ancora”, scrive Giovanni mentre inizia il secondo inverno di prigionia. Il 15 gennaio si registra “un violento bombardamento”. Poi la nota più attesa: “Giovedì Santo, siamo alla stazione in attesa di rientrare in Italia: la prova più dura alla quale sono stato sottoposto sta per terminare con un bombardamento degli alleati che causa diversi feriti”. Nel 1966 Giovanni Fratini sarà insignito della “Croce al Merito di Guerra per l’internamento in Germania”.

Autore: Reinhard Christanell

Festa delle associazioni: via alle danze

Anche quest’anno la Festa delle associazioni a San Giacomo ha dato il la all’apertura della stagione di iniziative. Tanti sono stati l’entusiasmo e la varietà.

Ormai gli abitanti della frazione di San Giacomo sanno che quando arriva settembre una domenica è dedicata alla Festa delle associazioni che, in un clima di allegria e divertimento, illustrano le proposte per la stagione che sta per cominciare.

Con una popolazione in costante crescita grazie alle nuove costruzioni, che hanno consentito a tante famiglie di spostarsi dalla città per trovare un clima più familiare e accogliente, è anche sempre maggiore l’entusiasmo con cui le associazioni presenti sul territorio costruiscono il proprio programma di attività e intrattenimento per ogni fascia di età. Ecco allora – con la festa proprio nel piazzale della chiesa, l’Oratorio Santiago che, come sempre, propone iniziative di ogni genere – dal pilates ai corsi di cucina e serate creative – solo per dirne alcune.

Presente come sempre anche l’ormai storica “Strapaes”, che ha intrattenuto il folto pubblico con cabaret e karaoke, e molto altro. A far trattenere il fiato sono state le esercitazioni dei vigili del fuoco volontari, presenza immancabile di ogni iniziativa a San Giacomo e quanto mai benvoluti in paese, così come gli alpini che, come sempre, si sono occupati di deliziare i palati dei presenti, tanto quanto gli irrinunciabili strauben di Giuliana e Loredana.

Non sono mancati gli spazi dedicati ai più piccoli: tanti laboratori creativi ricchi di colori, ma anche lo spazio di lettura proposto dalle biblioteche del paese, non solo per intrattenere durante la festa, ma soprattutto per avvicinare grandi e piccoli al dono della lettura, anche in vista della futura biblioteca che troverà spazio nel nuovo polo scolastico. Un appuntamento davvero atteso dalla popolazione.

La festa ha visto la partecipazione, assieme ai residenti “storici”, di moltissime delle nuove famiglie arrivate a San Giacomo, offrendo quindi l’opportunità di uno spazio di aggregazione, conoscenza e integrazione per chi si trova in paese da poco tempo. 

Con la festa delle associazioni si apre una stagione ricca di eventi: nei prossimi mesi e settimane non mancano gli appuntamenti da segnare in calendario per gli abitanti, a cominciare dalla ormai consueta Festa dei Nonni presso l’Oratorio il giorno 3 ottobre, che precede di poco la grande festa della parrocchia prevista invece per domenica 6. 

Tra gli appuntamenti sempre molto attesi c’è senz’altro la castagnata, come sempre organizzata in concomitanza con la festività di San Martino, il 10 novembre. 

Con l’arrivo del nuovo quartiere e di nuove attività commerciali, San Giacomo si sta riscoprendo come zona viva, dove sono sempre di più le persone che hanno voglia di mettersi in gioco per creare tra gli abitanti un senso di comunità e far sì che il paese non si trasformi in un semplice “dormitorio” del vicino capoluogo. Per questo, anche nel caso della festa delle associazioni, un sentito ringraziamento va a tutti i volontari – grandi e piccoli – che, come sempre, hanno dato il massimo.

Autrice: Raffaella Trimarchi